L’art. 38, comma 2, T.U.B. stabilisce che “La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.
Come noto, il limite di finanziabilità è pari all’80% del valore dell’immobile sul quale viene accesa l’ipoteca o del costo delle opere da eseguirsi sull’immobile stesso, come previsto dalla delibera CICR del 22/4/1995; tale percentuale può essere elevata fino al 100%, qualora vengano prestate garanzie aggiuntive, rappresentate da fideiussioni bancarie e assicurative, polizze di compagnie di assicurazione, fondi di garanzia e altre garanzie idonee secondo i criteri previsti dalla Banca d’Italia
Nessuna norma, tuttavia, disciplina le conseguenze derivanti dalla concessione di un finanziamento in violazione del suddetto limite, tanto che sul tema si sono susseguiti, in seno alla Corte di Cassazione, due orientamenti contrapposti, ai quali ha fatto seguito un terzo indirizzo, radicatosi nella giurisprudenza di merito.
In particolare, si ricorda che secondo un primo e più risalente indirizzo della Corte di Cassazione (cfr. le sentenze “gemelle” Cass. Civ., Sez. I, 28/11/2013, n. 26672 e Cass. Civ., Sez. I, 6/12/2013, n. 27380, nonché Cass. Civ., Sez. VI, 4/11/2015, n. 22446) la violazione del limite di finanziabilità non può tradursi nella sanzione della nullità del contratto prevista dall’art. 117, comma 8, TUB, in base al quale “La Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia”.
A detta delle decisioni di legittimità più datate, infatti, mentre l’art. 117, comma 8 TUB attribuisce alla Banca d’Italia un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale, l’art. 38 TUB conferisce all’Istituto di vigilanza il ben diverso potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce l’oggetto del contratto e che, quindi, è elemento contrattuale di per sé già tipizzato.
Stando a tale percorso argomentativo, sotto un ulteriore profilo, se la violazione delle disposizioni attuative dell’art. 117 TUB è fonte di nullità relativa poiché mira a proteggere l’interesse del contraente più debole, lo stesso non può dirsi della violazione del limite stabilito dall’art. 38 TUB, che, lungi dal tutelare l’interesse del cliente (che, anzi, potrebbe vantare l’interesse ad ottenere il finanziamento massimo possibile), è collocato a presidio del sistema bancario.
La norma, in altri termini, è volta ad evitare che l’istituto assuma esposizioni eccessive senza adeguate contropartite, venendo dunque in rilievo non già come regola di validità del negozio, bensì come regola di (buona) condotta, la cui violazione determina, sul piano pubblicistico, l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario ovvero essere fonte, sul piano privatistico, di eventuale responsabilità risarcitoria da culpa in contrahendo.
Diversamente opinando e facendo discendere dalla violazione del limite di finanziabilità la nullità del finanziamento ormai erogato, con la conseguente caducazione della connessa garanzia ipotecaria, si giungerebbe al paradossale risultato di pregiudicare proprio il valore della stabilità patrimoniale della Banca, che la norma intende tutelare.
Secondo un’altra tesi giurisprudenziale, invece, il rispetto del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 TUB è da qualificarsi alla stregua di elemento essenziale del contenuto del contratto, costituendo “un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, volto a regolare il “quantum” della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l’attività di impresa” (così Cass. Civ., Sez. I, 13/7/2017, n. 17352).
Quest’ultima sentenza, pur riaffermando la non riconducibilità della previsione dell’art. 38 TUB alle nullità testuali previste dall’art. 117 TUB, non ha condiviso il restante percorso argomentativo delle pronunce “gemelle” del 2013, individuando nella sanzione della nullità virtuale per violazione di norma imperativa ex art. 1418, comma 1, c.c. l’unico possibile e convincente presidio posto a tutela dell’interesse pubblico violato (gli obiettivi economici di carattere generale riferiti alla stabilità del sistema bancario), attesa la ripercussione che i finanziamenti fondiari possono avere sull’economia nazionale.
Esclusa, infine, la configurabilità di una nullità solo parziale, l’unica modalità di recupero del contratto nullo viene individuata dagli Ermellini del 2017 nella conversione del mutuo fondiario radicalmente invalido in un mutuo ipotecario ordinario, ma solo ove sussistano le condizioni richieste dall’art. 1424 c.c., ai sensi del quale il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso a patto che ne contenga i requisiti di sostanza e di forma e qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse avrebbero voluto il contratto diverso se consapevoli della nullità di quello stipulato.
L’orientamento inaugurato dalla citata Cass. Civ., Sez. I, 13/7/2017, n. 17352 risulta attualmente prevalente ed è seguito da Cass. Civ., Sez. I, 31/7/2017 n. 19016; Cass. Civ., Sez. I, 6/3/2018 n. 6586; Cass. Civ., Sez. I, 9/5/2018, n. 11201; Cass. Civ., Sez. VI, 31/5/2018, n. 13826; Cass. Civ., Sez. I, 24/9/2018, n. 22466; Cass. Civ., Sez. I, 19/11/2018, n. 29745; Cass. Civ., Sez. III, 28/6/2019, n. 17439; Cass. Civ., Sez. I, 21/1/2020, n. 1193.
Non è mancata un’opinione intermedia, la quale – fermo il presupposto che l’art. 38 TUB è norma di carattere imperativo – risolve la questione sul piano della qualificazione giuridica del contratto, ritenendo che, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, il mutuo fondiario, ove concesso oltre il limite di finanziabilità, altro non sarebbe che un ordinario mutuo ipotecario, con la conseguenza che il superamento del suddetto limite non comporta né la nullità del sinallagma, né la necessità di verificare i presupposti per la conversione in altro tipo di contratto (non essendo, peraltro, il mutuo fondiario un tipo negoziale diverso da quello ipotecario), ma semplicemente la perdita dei c.d. privilegi fondiari di cui agli artt. 39 e 41 TUB.
Questa terza soluzione è condivisa dalla giurisprudenza di merito (cfr., ex multis, Trib. Udine, 29/5/2014; Trib. Mantova, 27/12/2018; Trib. Napoli, 10/10/2020; Trib. Belluno, 7/4/2021; CA Firenze, 30/6/2021; Trib. Livorno, 16/12/2021; Trib. Busto Arsizio, sez. III, 17/6/2022 n. 953) ed è, infine, approdata al Supremo Collegio nella motivazione di Cass. Civ., Sez. III, 28/06/2019, n. 17439 (conf. ordinanza interlocutoria Cass. Civ., sez. III, 8/3/2022 n. 7509).
La terza opzione ermeneutica appena illustrata è sembrata preferibile anche secondo l’ordinanza interlocutoria n. 4117 del 9/2/2022 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che aveva (finalmente) rimesso la problematica alle Sezioni Unite, evidenziando come la comminatoria della nullità del contratto di mutuo fondiario che superi il limite di finanziabilità comporterebbe paradossalmente che nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla permanenza del vincolo negoziale, alla luce del fatto che il rispetto del limite non è normalmente circostanza accertabile al momento della stipulazione del contratto (ove non è prescritto che sia indicato il valore dell’immobile), ma solo successivamente attraverso valutazioni estimatorie che presentano indubbi margini di opinabilità e incertezza.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 33719 del 16/11/2022, hanno affermato che in tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, comma 2, T.U.B., non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto.
Non integra norma imperativa la disposizione con cui il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della c.d. “vigilanza prudenziale”, la cui violazione, se pasta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito.
La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile del 16/11/2022 n. 33719 ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: “qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario”.