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CONTRATTO FORMALE MONOFIRMA: GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’ IN MATERIA BANCARIA

Com’è noto pendono dinanzi ai Tribunali italiani molti giudizi in cui sono i clienti delle banche ad agire per l’accertamento della nullità dei contratti o delle singole clausole contrattuali relative alle condizioni economiche e per far valere le conseguenti pretese restitutorie.

Tali controversie risultano particolarmente complesse anche in ragione del fatto che in materia bancaria si verificano spesso repentine modifiche normative o mutamenti di orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione che determinano una vera e propria incertezza in ordine alla correttezza dell’impostazione data alla stessa istruttoria della causa.

Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 5919 del 2016, il cui orientamento è stato seguito anche dalla sentenza n. 7068 del 2016 della prima sezione della Suprema Corte, viene messa in discussione una delle poche certezze su cui l’interprete di merito sperava di poter contare in ordine alla validità dei contratti bancari, ove non sottoscritti anche dalla banca ma dal solo cliente (cosiddetti contratti monofirma).

La Corte di Cassazione, con la sentenza 22.03.2012 n. 4654 aveva recepito il principio secondo il quale “sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte, dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta” (cfr Cass. Civ. n. 9543/2002).

Tale orientamento della Corte fu da subito recepito dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, la quale ritenne che i principi di diritto enunciati dalla Corte nella sentenza del 2012 erano conformi, non solo, alle regole sulla formazione dell’accordo negoziale nei contratti con forma scritta ab substantiam, ma anche ai principi generali di buona fede contrattuale e tutela dell’affidamento. La giurisprudenza di merito, nelle pronunce in cui si ha dato seguito ai principi di diritto della Suprema Corte n. 4564/2012, ha ritenuto non conforme al principio di buona fede contrattuale nell’esecuzione del contratto il comportamento del contraente e anche del cliente che approfitti, abusandone, di una posizione contrattuale oggetto di particolare protezione da parte del legislatore di settore, prima dando esecuzione, anche per anni, al contratto bancario dallo stesso sottoscritto e poi invocando in giudizio la nullità del medesimo contratto, stipulato utilizzando modelli predisposti dalla banca, in ragione della mancanza della firma della banca medesima (cfr. Tribunale di Reggio Emilia sentenza del 28.04.2015).

Le sentenze della Suprema Corte n. 5919/2016 e n. 7068/2016 segnano quindi un inaspettato e consapevole cambiamento di orientamento.

La Corte, infatti, arriva ad affermare, in estrema sintesi, che il contratto bancario monofirma non può essere considerato valido, in quanto il requisito della forma scritta ab substantiam è soddisfatto solo ove vi sia la prova che entrambe le parti, anche se in documenti distinti, abbiano manifestato per iscritto la loro volontà negoziale.

L’ondivago orientamento giurisprudenziale sulla questione relativa alla validità dei contratti monofirma è stato sottoposto alle Sezioni Unite della Suprema Corte che, con la recente sentenza n. 898 del 16.01.2018, hanno composto il contrasto sorto in seno alle sezioni semplici della Corte di Legittimità.

Con la sentenza n. 898/2018 le SSUU hanno statuito che è irrilevante la sottoscrizione del delegato della banca sul contratto quadro, quando questo è firmato dall’investitore ed una copia gli è stata consegnata ed il contratto ha avuto esecuzione.

Ciò in quanto la ratio ispiratrice della norma di cui all’art. 23 T,U,F, (che a pena di nullità prevede che “i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimanto e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”) è posta nell’interesse esclusivo del cliente, intesa ad assicurare a quest’ultimo, da parte dell’intermediario, la piena indicazione degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione ed altro come specificamente indicato, considerato che è l’investitore che abbisogna di conoscere e di potere all’occorrenza verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto.

Il principio espresso dalle Sezione Unite, seppur riferito a un caso di contratto di intermediazione finanziaria, deve ritenersi applicabile anche ai contratti bancari, attesa la sostanziale identità di disciplina e di ratio di protezione del cliente degli artt. 23 T.U.F. e 117 T.U.B. a mente del quale “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”.

E’ quindi ragionevole prevedere che, dopo tale decisione delle SSUU il contenzioso si sposterà sulla prova o meno dell’avvenuto assolvimento da parte della banca dell’obbligo di consegna del documento contrattuale al cliente, mormativamente previsto.

Pubblicato il 2 febbraio 2018