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IL GIUDICE ORDINA L’INSERIMENTO IN CATALOGO DI UN’OPERA D’ARTE La Corte d’Appello di Milano rivoluziona la giurisprudenza

Con la recente sentenza n. 2262/2022, pubblicata il 28 giugno 2022, la Corte di Appello di Milano ha per la prima volta ordinato ad una Fondazione, che svolge l’attività di archiviazione delle opere d’arte, di procedere all’inserimento di un’opera nel catalogo generale dell’artista.

La fattispecie da cui è originata la pronuncia è la seguente.

A fronte della domanda di un collezionista di inclusione della opera di sua proprietà nel catalogo ragionato dell’artista, la Fondazione Lucio Fontana aveva riconosciuto che l’opera fosse autografa autografa di mano del maestro, ma aveva negato che potesse essere inserita nel catalogo del maestro poiché la stessa era «originariamente di mano di Lucio Fontana ma irrimediabilmente compromessa da incidente che ne ha provocato la connessione con un telaio estraneo, perciò da essere scartato dall’artista».

La Corte ha ritenuto che la tela, autentica benché compromessa da un incidente, faccia comunque parte del corpus di opere dell’artista e come tale debba essere pubblicata, nonostante la diversa posizione della Fondazione Lucio Fontana. Il giudice ha quindi ordinato alla Fondazione la pubblicazione in catalogo «se del caso in apposita sezione dedicata a quelle opere la cui paternità ha costituito oggetto di valutazione in sede giurisdizionale» precisando che ciò non costituisce violazione della libertà di espressione poiché la Fondazione è libera di esprimere le sue contrarie valutazioni in proposito.

La pronuncia ha messo nuovamente in luce la contrapposizione fra il diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 21 della Costituzione proprio della Fondazione, o dell’archivio o degli eredi dell’artista, talvolta in conflitto di interessi, che deve poter essere esercitato senza limiti o rischi di dover rispondere in caso di pareri rivelatisi poi sbagliati, e il diritto di cui all’art. 42 della Costituzione che riconosce e garantisce la proprietà privata, la cui tutela comporta la responsabilità dell’ente autenticatore in caso di giudizio ingiustificato ed errato ed il conseguente rischio di risarcire il relativo danno patrimoniale.

Secondo l’orientamento finora consolidato, l’attività di archiviazione delle opere d’arte rappresenta soltanto la libera manifestazione del pensiero e, come tale, è un’attività incoercibile.

Dietro la libertà di pensiero di quegli enti, fondazioni o archivi, che il mercato riconosce come accreditati a dichiarare l’autenticità di un’opera, sono stati talvolta operati dei veri e propri arbitrii nel rifiuto di dichiarare l’autenticità di un’opera senza alcuna congrua valutazione.

La contestazione dell’autenticità dell’opera d’arte, conseguente al mancato rilascio del relativo certificato da parte dell’ente che si accredita sul mercato per tale finalità, comporta infatti uno stato di incertezza in relazione all’effettiva portata del diritto di proprietà, compromettendo significativamente la facoltà del proprietario di vendere l’opera come autentica ad un prezzo di mercato corrispondente alle sue effettive caratteristiche, nonché di far la circolare nei rapporti con i terzi, tramite esposizioni d’arte, come opera attribuibile a quell’artista. Tuttavia, sino alla pronuncia sopra riportata, la giurisprudenza ha sempre affermato che l’accertamento dell’autenticità può essere richiesto incidenter tantum come accertamento di un fatto e non di un diritto, e quindi solo in  funzione della domanda di annullamento del contratto o di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto di compravendita.

Fino alla pronuncia in esame, nessun giudice ha mai ammesso che una sentenza potesse incidere in alcun modo sulla libera manifestazione del pensiero degli esponenti dell’ente, che da nessun giudice avrebbero potuto essere condannati ad emettere certificati di autenticità (Corte d’appello di Milano, 04/05/2020, n. 1054, ma anche Tribunale sez. XVII – Roma, 26/06/2019, n. 13461).

La Corte d’Appello di Milano in tale decisione ha invece osservato che tale opera non possa essere ignorata nelle raccolte riportate nei cataloghi gestiti dalla Fondazione stessa e debba esservi inserita, se del caso evidenziando che trattasi di un’opera la cui paternità ha costituito oggetto di valutazione in sede giurisdizionale, al fine di favorire la conoscenza dell’intera opera di un artista e con ciò riconoscendo una più ampia tutela del diritto del proprietario dell’opera stessa.

Per la giurisprudenza italiana si tratta di un precedente rivoluzionario.

La sentenza della Corte d’Appello di Milano evidenzia inoltre i rischi connessi al riservare l’attività di catalogazione esclusivamente a certi enti riconosciuti dal mercato, e porta alla luce l’importanza di coinvolgere in tale operazione anche i conservatori e i restauratori che saprebbero come descrivere nel catalogo i dettagli sul tipo e sulla posizione del danno ed il cambiamento dovuto al danno o le tecniche di sostituzione delle parti danneggiate.

La sentenza in ogni caso apre una porta verso una più incisiva tutela dei proprietari di opere d’arte nel nostro ordinamento, con il limite di non poter colmare una lacuna del sistema, una norma  di legge che consenta ad un giudice di imporre a una fondazione un “facere” quale quello di inserire un’opera in catalogo ragionato.