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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sanciscono la nullità parziale delle fideiussioni omnibus fedeli al modello ABI del 2003

Con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno inteso porre fine all’annoso dibattito in ordine alla validità delle clausole delle fideiussioni omnibus redatte in conformità al modello standard predisposto dall’ABI nel 2003 – già giudicate contrarie alle regole della concorrenza antitrust, poiché frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza – statuendo per la nullità parziale, restando invece valido il contratto di fideiussione.

Riservata una riflessione più meditata e puntuale del corposo arresto, interessa qui evidenziarne gli elementi salienti.

La Banca d’Italia, con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005[1], aveva dichiarato:

  1. a) la nullità degli articoli 2, 6 ed 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus), in quanto contenenti disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/1990 (cd. “Legge antitrust”) [2];
  2. b) la validità delle altre disposizioni dello schema contrattuale, che non risultano lesive della concorrenza.

In particolare, le clausole dello schema contrattuale colpite dal giudizio di disvalore espresso dall’Autorità Garante, presentano il seguente contenuto:

– la clausola n. 2) impone al fideiussore l’obbligo di rimborsare alla banca le somme dalla stessa incassate in pagamento di obbligazioni garantite e poi restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo (cd. “clausola di reviviscenza”);

– la clausola n. 6) dispone che i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato (cd. “clausola di rinuncia al termine ex art. 1957 c.c.”);

– la n. 8), prevede la permanenza in capo al fideiussore di garantire comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate anche nel caso di dichiarata invalidità delle obbligazioni garantite (cd. “clausola di sopravvivenza”).

A seguito del richiamato provvedimento n. 55, è sorto in seno al mondo giuridico il problema di determinare la validità ed efficacia delle fideiussioni stipulate a valle dell’intesa dichiarata parzialmente nulla dall’Autorità Garante e, in particolare, di stabilire se al fideiussore spetti una tutela reale, ossia a carattere “demolitorio”, oppure una tutela esclusivamente risarcitoria.

Le Sezioni Unite, dopo avere come di consueto colto l’occasione per ripercorrere le differenti correnti di pensiero formatesi in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza[3], affermano il principio per il quale “deve ritenersi che, tra le tre diverse soluzioni individuate da dottrina e giurisprudenza, quella che perviene a risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust sia la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ipotesi di «nullità parziale»” .

Trattasi, secondo il Supremo Collegio, di una nullità “speciale”, che si aggiunge a quelle già note al sistema, fondata sul combinato disposto dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già art. 81 del Trattato CE) e dell’art. 2, lett. a), della legge n. 287/90, posta a presidio di un interesse pubblico e, nello specifico, del mercato in senso oggettivo, e non soltanto l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato, con la conseguente inidoneità di un rimedio risarcitorio che protegga, nei singoli casi, solo quest’ultimo, ed esclusivamente se ha subito un danno in concreto.

Secondo il ragionamento seguito dalla Corte, deve tuttavia escludersi in linea di principio la nullità totale del contratto, non essendo detto rimedio conforme alla finalità perseguita dalla normativa antitrust eurounitaria e nazionale, né al principio generale di conservazione del negozio.

La Corte evidenzia come la nullità relativa possa chiaramente comportare la nullità dell’intero contratto ai sensi dell’art. 1419 c.c., ovvero se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità, pure ritenendo espressamente remota tale possibilità di estensione all’intero contratto, richiamando il proprio precedente in base al quale “agli effetti dell’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la  nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice. Per converso, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata (Cass. 21/05/2007, n. 11673)”.

Per le Sezioni Unite, dunque, la soluzione da accogliere è quella della nullità relativa delle sole clausole coinvolte: “la nullità  dell’intesa  a  monte  determina,  dunque,  la «nullità derivata» del contratto di fideiussione a valle, ma limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema  ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8) che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole”.

Quanto alla rilevabilità della nullità, chiarisce la Corte che nei limiti stabiliti dal principio processuale della domanda (artt. 99 e 112 cpc), il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale. E tuttavia, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo (Cass. Sez. U., 12/12/2014, nn. 26242 e 26243; Cass., 18/06/2018, n. 16501).

Chiarisce quindi la Corte che alla qualificazione di nullità parziale della fideiussione consegue l’imprescrittibilità dell’azione di nullità (Cass. 15/11/2010, n. 23057), ma anche la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ., ricorrendone i relativi presupposti (Cass. 08/11/2005, n. 21647), nonché dell’azione di risarcimento dei danni.

A conclusione dell’operata ricostruzione giuridica della fattispecie, le Sezioni Unite enunciano il seguente principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

Di conseguenza le fideiussioni bancarie che contengano tali articoli 2, 6 e 8 (a quanto consta trattasi di un’elevata percentuale delle fideiussioni nel nostro ordinamento) sono parzialmente nulle dato che la loro applicazione uniforme da parte delle banche ha l’effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale.

Sul piano concreto, la nullità delle singole clausole conformi allo schema ABI, benché parziale, non può certamente essere sottovalutata, ma sarà poi necessario valutare caso per caso.

[1] L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, interpellata dalla Banca d’Italia, con parere n. 14251, reso ad esito dell’adunanza del 30/04/2005, aveva rilevato che lo schema di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI, presentasse clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili in generale di “determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito”, nonchè, in caso di fideiussioni a pagamento, “di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore”.

[2] Il provvedimento ha in particolare evidenziato che la clausola relativa alla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e le cd. clausole di “sopravvivenza” della fideiussione “hanno lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi”.

[3] Sull’argomento si erano formate in dottrina e giurisprudenza tre differenti correnti di pensiero:

– la prima corrente si era espressa per il solo risarcimento del danno in caso di conformità totale o parziale del contratto di fideiussione allo schema redatto dall’ABI;

– la seconda corrente considerava affetti da nullità integrale i citati contratti, fermo restando il diritto al risarcimento dei danni;

– la terza ed ultima corrente considerava i citati contratti affetti da nullità parziale.

Pubblicato il 12 gennaio 2022