La vicenda all’esame della Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha ad oggetto la domanda di pagamento avanzata da un architetto, incaricato da una società di eseguire i lavori di ristrutturazione di un immobile, che otteneva un decreto ingiuntivo per l’ammontare di € 36.709,40, ad integrazione del compenso già ricevuto per l’importo di € 13.790,40. La società committente si opponeva e, in via riconvenzionale, chiedeva che il professionista fosse condannato a risarcire il danno causato dagli errori commessi dal ricorrente opposto nella progettazione e nella direzione dei lavori.
Il Giudice di prime cure, ritenendo che la documentazione prodotta dall’architetto opposto al CTU fosse tardiva, per violazione del termine di cui all’art. 183 comma 6, n. 2, c.p.c. (essendo consentito al CTU l’esame dei documenti non prodotti dalle parti nel solo caso in cui si tratti di fatti accessori, rientranti strettamente nell’ambito della consulenza e, in ogni caso, esclusa indagine esplorativa), reputava che l’opposto non avesse fornito la prova delle sue prestazioni, mentre riconosceva la sussistenza dei denunciati errori e il danno procurato all’opponente, e quindi condannava l’opposto al pagamento della somma di € 53.600,00, a titolo di responsabilità per inadempimento del contratto d’opera professionale.
La sentenza veniva impugnata dal professionista e la Corte locale, dopo aver istruito la causa mediante espletamento di CTU, sulla base della documentazione esaminata, riteneva che la prestazione dell’architetto fosse stata accertata e che non fosse, invece, emerso alcuno dei danni prospettati dalla società committente, così accoglieva l’impugnazione, e condannava la società appellata al pagamento, a titolo di residui onorari, della somma di € 35.789,97.
La società committente ricorreva in Cassazione sulla scorta di tre motivi. Con il primo motivo, la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 c.c., 194, 115, 116 e 345 c.p.c., assumendo che il Giudice del gravame – diversamente del Giudice di primo grado, che aveva negato la possibilità alla controparte di sottoporre al CTU documenti non prodotti tempestivamente – errando, aveva fondato la propria decisione sulla scorta delle valutazioni della CTU disposta in quel grado, prendendo a base documenti non prodotti in primo grado e arbitrariamente acquisiti dal consulente del giudice nel corso delle operazioni peritali.
La Corte ha accolto questo primo motivo del ricorso e dichiarato assorbiti gli altri, ritenendo che la sentenza impugnata non fosse conferme ai principi riconosciuti dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 3086 del 01.02.2022[1]. Con quest’ultima ormai nota pronuncia, i Giudici di legittimità, nell’assolvimento della funzione nomofilattica della Corte, hanno voluto chiarire, nonché “delimitare”, i poteri esercitabili dal CTU nell’espletamento dell’incarico assegnatogli dal Giudice, anche in relazione ai termini preclusivi delle attività processuali delle parti, e specificare quando i vizi dell’attività svolta dal consulente determinino un’irregolarità sanabile nella forma della nullità relativa o si traducano in una causa di nullità assoluta.
Alla luce di tali principi di diritto, confermati dalla sentenza qui in esame, rimane confermato che qualora il CTU, nei limiti delle indagini commessegli dal giudice, proceda ad accertare fatti non oggetto di diretta capitolazione di parte o ad esaminare documenti non introdotti nel giudizio delle parti, senza attivare su di essi il necessario confronto processuale, costui non lede un interesse del processo, in forza del quale la consulenza potrebbe giudicarsi affetta da un vizio di nullità assoluta, ma viola il diritto di difesa delle parti, a cui competerà il potere di farne valere la violazione e di eccepire la nullità dell’atto che ne è conseguenza ex art. 157, comma 2, c.p.c.
Diversamente, se l’attività del perito dovesse eccedere l’oggetto della domanda, fino ad effettuare una valutazione in ordine alla fondatezza della pretesa avanzata dall’attore sulla base di fatti diversi da quelli allegati, si integrerebbe una violazione del principio della domanda e del principio dispositivo, determinando la nullità assoluta della consulenza, non sanabile per acquiescenza delle parti, e rilevabile d’ufficio e che potrebbe essere oggetto di impugnazione ex art. 161 c.p.c..
Nella fattispecie esaminata dalla Seconda Sezione della Corte, il Giudice dell’appello aveva fondato la propria decisione su documenti non prodotti in primo grado e arbitrariamente acquisiti dal consulente del giudice nel corso delle operazioni peritali. Se i poteri esercitabili dal CTU si identificano con quelli che potrebbe azionare il Giudice stesso se disponesse delle necessarie competenze tecnico-scientifiche, con la conseguenza che le preclusioni istruttorie previste per le parti non possono, e non devono, in alcun modo limitare l’attività del consulente nell’espletamento dell’incarico assegnatogli, al contempo la consulenza tecnica d’ufficio non potrà mai essere lo strumento per consentire alle parti di effettuare allegazioni tardive a fondamento delle rispettive domande ed eccezioni[2].
Gli Ermellini hanno quindi cassato la sentenza dell’appello e hanno rinviato alla Corte locale affinché venga verificato se e quali documenti, prova dei fatti principali, siano stati tempestivamente prodotti dalle parti e legittimamente utilizzati dal CTU e quali invece siano stati impropriamente acquisiti e utilizzati dal CTU, salvo i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamenti della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare.
[1] Al termine dell’articolato e complesso percorso motivazionale, le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto: «Si possono perciò in conclusione affermare nell’interesse della legge i seguenti principi di diritto: “in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio”. “In materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio”. “In materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni”. “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso”. “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.”», cfr. Cass. S.S.U.U. n. 3086 del 01.02.2022.
[2] Le Sezioni Unite avevano puntualmente osservato che: «i poteri esercitabili dal CTU in relazione ai fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa di cui il consulente, pur non avendo essi formato oggetto di deduzione ex parte, prenda incidentalmente conoscenza nel corso dell’espletamento del mandato peritale, si rende obbligata sul filo della distinzione da tempo praticata, anche dalla giurisprudenza di questa Corte, tra potere di allegazione e potere di rilevazione. E’ appena il caso di ricordare che mentre il primo, in quanto estrinsecazione del principio della domanda e del correlativo principio dispositivo che individua nella parte e solo nella parte il soggetto che può disporre anche in chiave processuale del proprio diritto, compete, per l’appunto, esclusivamente alla parte, il secondo può essere invece oggetto di una condivisione tra la parte, quando la manifestazione della sua volontà sia elevata dalla legge ad elemento integrativo della fattispecie – sicché in tal caso anche il potere di rilevazione compete in via esclusiva alla parte – ed il giudice, atteso che il generale potere che compete a questo di rilevare le eccezioni in senso lato si traduce nella rilevazione anche dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa ove questi, sebbene non precedentemente allegati dalla parte, emergano tuttavia dagli atti di causa. Orbene, in una visione del processo che si orienta per disegno costituzionale in direzione della tendenziale giustizia della decisione e che in questa logica autorizza dunque il giudice a rilevare anche officiosamente i predetti fatti, ove essi risultino acquisiti al giudizio indipendentemente dalla volontà dispositiva della parte che ne trae vantaggio, non credono le SS.UU. che nell’esercizio di siffatto potere possa opporsi al giudice che i fatti in parola siano venuti a sua conoscenza non motu proprio, ma attraverso le indagini commissionate al CTU, che lui stesso avrebbe potuto compiere se non avesse avuto la necessità di servirsi di un esperto. E dunque è immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne faccia propri e ne valorizzi anche quei profili di essa che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa che, ancorché non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal consulente nell’espletamento dell’incarico», cfr. Cass. S.S.U.U. n. 3086 del 01.02.2022.
Pubblicato il 9 novembre 2022