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Colpo di frusta ed accertamenti strumentali: una storia infinita! La Cassazione, con l’ordinanza n. 32483/19, cambia ancora orientamento.

La Corte di Cassazione – Terza Sezione Civile con l’ordinanza n. 32483/19, pubblicata il 13 Dicembre u.s. – a pochi giorni dai due recentissimi arresti l’ordinanza n. 30731/19 del 26/11/19 e la sentenza n. 31072/19 del 28/11/19 – torna ad occuparsi dell’interpretazione dell’art. 139, comma 2, CdA, come modificato dalla L. n. 27 del 2012, e mutando il proprio orientamento (ritenuto ormai “consolidato” dalla maggior parte dei commentatori), afferma il principio in forza del quale, per alcune tipologie di lesioni, ed in particolare per il c.d. “colpo di frusta”, l’accertamento clinico strumentale, in ragione della natura della patologia e della modestia della lesione, rimane l’unico strumento probatorio che consente di riconoscere le stesse ai fini risarcitori.

La vertenza trae origine dal gravame (non accolto) promosso da un soggetto danneggiato avverso la sentenza del Tribunale di Enna che, quale giudice d’appello, ha respinto la domanda dallo stesso formulata per il risarcimento delle lesioni personali – “colpo di frusta” – subite a seguito di un sinistro stradale (avvenuto il 12/10/2008), ritenendo le stesse non strumentalmente provate.

In particolare, ai fini che qui interessano, il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione da parte del Giudice di secondo grado delle disposizioni di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c., nonché dell’art. 139 del D.Lgs. n. 209/2005 e dell’art. 32 della L. n. 27/2012, per aver ritenuto insussistente, in mancanza di accertamenti clinici strumentali, i postumi invalidanti dallo stesso riporti a seguito del sinistro, nonostante l’esistenza di detti postumi fosse stata confermata dalle due perizie medico legali (presentate dal danneggiato e dalla Compagnia) e dai numerosi certificati redatti dai medici che lo avevano avuto in cura.

Nell’affrontare la questione, la Terza Sezione ripercorre ed analizza l’iter logico motivazionale dell’impugnata sentenza e considera corretto l’operato del giudice che, ritenendo irrilevante la citata documentazione – in quanto: a) basata esclusivamente sulle dichiarazioni della vittima e sulla sintomatologia dalla stessa riferita; b) affetta da un contrasto tra il lungo periodo di prognosi concesso successivamente al danneggiato e la “modesta entità del quadro clinico descritto in Pronto Soccorso”; c) non accompagnata da “necessari accertamenti clinici strumentali in grado di rilevare l’esistenza di postumi invalidanti a carattere permanente”, ha escluso la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 139 CdA, come novellato dalla L. n. 27/2012, per la liquidazione del danno biologico.

Pertanto, la Corte di Cassazione, richiamando i principi affermati nelle proprie precedenti sentenze (in particolare la sentenza n. 10816/19 e la sentenza n. 1272/18), conclude che: “in tema di risarcimento del danno da cd. micropermanente, l’accertamento della sussistenza della lesione dell’integrità psico – fisica deve avvenire con criteri medico – legali rigorosi ed oggettivi: al riguardo, l’esame clinico strumentale obiettivo non è di per sé l’unico mezzo probatorio utilizzabile per riconoscere la lesione ai fini risarcitori, ma lo diviene ogniqualvolta si tratti, come per l’appunto è stato ritenuto nel caso di specie con ampia e argomentata motivazione, di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita dal medico legale”.

Quanto statuito con la riportata ordinanza n. 32483/19 sembra confermare che, come già rilevato nel nostro report n. 54/2019, le precedenti pronunce della Corte di Cassazione, pur rifacendosi espressamente alla sentenza della medesima Corte n. 1272/2018, hanno fatto un uso distorto del principio da quest’ultima affermato.

Infatti, proprio in relazione ad altra fattispecie avente sempre ad oggetto l’accertamento della lesione del rachide cervicale, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1272/2018, ha specificato che l’art. 139 CdS, come novellato dalla Legge n. 27/2012, va interpretato “nel senso di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede. Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta. E’ evidente che il c.t.u. non può limitarsi, di fronte a simile patologia, a dichiarala accertata sulla base del dato puro e semplice – e in sostanza non verificabile – del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al c.t.u., fermo restando il suo ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dallo specialista, di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile, che è ciò che la legge attualmente richiede”.

Pubblicato il 23 dicembre 2019