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COVID-19 AREA RESPONSABILITÀ CIVILE – INFORTUNI: LA RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO

1) OBBLIGHI E RACCOMANDAZIONI
Nel corso dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19, sono stati adottati specifici provvedimenti diretti ad integrare, a seguito dell’esposizione ai nuovi fattori di rischio, la vigente disciplina antinfortunistica di cui al Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008).
Tra questi vi sono la Circolare n. 3190 del 3.2.2020 del Ministero della Salute, i Decreti Legge n. 9/2020 e n. 18/2020 nonché i numerosi D.P.C.M. succedutisi a partire dall’8 marzo 2020.
In data 14.3.2020, inoltre, i sindacati e le categorie rappresentative delle imprese hanno firmato un protocollo per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, integrato il 24.3.2020 ed inserito come allegato 6 al DPCM del 26 aprile 2020 (il quale prevede ad es. sanificazione dei locali, impianti e degli strumenti di lavoro, uso di mascherine, disinfettanti e guanti, mantenimento delle distanze nelle postazioni di lavoro ecc.).
Le misure indicate nei succitati provvedimenti e accordi, costituiscono in parte imposizioni, poiché la prosecuzione dell’attività è condizionata all’adozione delle relative misure e in parte raccomandazioni, il cui diligente rispetto potrà consentire di non incorrere nella violazione del generale obbligo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Ad ogni modo tali misure, anche quando non siano cogenti, costituiscono e costituiranno un fondamentale parametro di riferimento per l’accertamento, in caso d’infezione del lavoratore da Covid-19, del rispetto dell’obbligo suddetto che incombe sul datore di lavoro.

2) TUTELA INFORTUNISTICA E NESSO CAUSALE
Il Decreto Legge n. 18/2020, convertito in Legge n. 27/2020 (art. 42), ha introdotto la tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro, con conseguente equiparazione agli infortuni sul lavoro.
Tale inquadramento nell’ambito degli infortuni sul lavoro trova fonte nella legge succitata ed è da ritenersi in linea con la vigente trattazione da parte dell’Inail dei casi di malattie infettive e parassitarie, ove la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta.
L’infortunio, infatti, è caratterizzato da una “causa violenta”, cioè dall’azione concentrata nel tempo dell’agente causale, così come specificato dal D.P.R. n. 1124/10965.
Nel caso di malattie infettive, come il Covid-19, l’azione di fattori virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo- fisiologico, costituisce causa violenta.
Con circolare n. 13 del 3.4.2020, l’Inail ha poi indicato l’ambito operativo della nuova normativa, prevedendo la tutela anche nei casi di contagio avvenuto “in itinere” e introducendo una presunzione di origine professionale dell’infezione da Covid-19 per gli operatori sanitari ed altre categorie di lavoratori particolarmente esposte al rischio di contagio, con indicazione non tassativa.
Si tenga, tuttavia, presente che la presunzione di origine professionale dell’infezione da Covid-19 non ha fonte normativa, essendo stata introdotta con circolari Inail.
Invero il D.L. n. 18 del 17.3.2020, convertito in Legge n. 27/2020, estende la tutela infortunistica ai “casi accertati di infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro”, senza lasciare spazio a presunzioni predeterminate.
Ciò significa che la presunzione potrà operare soltanto sul piano dell’indennizzo Inail, non invece sul piano della successiva azione di rivalsa o dell’azione risarcitoria per il danno differenziale.
Sia nel caso in cui l’Inail, dopo aver erogato l’indennizzo, proceda con l’azione di rivalsa ai sensi del DPR 30/6/1965 n.1124 nei confronti del datore di lavoro, sia nel caso in cui il lavoratore richieda il cd. danno differenziale al medesimo datore di lavoro, si renderà necessario accertare in concreto l’effettiva riconducibilità dell’infezione all’attività lavorativa.
Un tale accertamento, se può ipotizzarsi agevole ove si tratti di attività lavorativa esposta ad un rischio specifico, come nel caso degli operatori sanitari, non sarà invece affatto semplice per quelle attività lavorativa esposte ad un rischio generico, come tale assimilabile a quello di ogni altro ordinario comportamento sociale.
Pertanto, anche per le categorie professionali ad alto rischio – per le quali l’Inail presume il contagio in ambito professionale – andrà dimostrato effettivamente, senza inversione alcuno dell’onere della prova che il contagio sia avvenuto “in occasione di lavoro”.

3) LA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO

a) Responsabilità civile
Una volta accertato il nesso causale, ossia la riconducibilità dell’infezione all’attività lavorativa, andrà poi accertata la responsabilità in capo al datore di lavoro per non aver adottato ogni cautela diretta a garantire la sicurezza e incolumità del dipendente.
La fonte di tale responsabilità discende, in ambito civile, dall’art. 2087 c.c. (“l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”) e dal Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008, si vedano in particolare gli artt. 18, 271 e 28).
Dovrà poi farsi riferimento ai recenti provvedimenti sopra richiamati, emanati nel corso della fase emergenziale, nonché quelli che in futuro certamente verranno ulteriormente emanati.
Il datore di lavoro, convenuto in giudizio dal lavoratore per il cd. danno differenziale o dall’Inail per l’azione di rivalsa, dovrà provare di aver adottato tutte le precauzioni imposte e/o raccomandate nonché ogni misura idonea, in relazione alla particolare attività svolta, ad evitare il contagio “in occasione di lavoro”.
Il datore di lavoro dovrà, inoltre, provare di aver controllato l’osservanza da parte del personale delle misure adottate, quali l’utilizzo di mascherine, camici, guanti ecc.
La giurisprudenza che andrà a formarsi in materia chiarirà poi il ruolo che potrà assumere il contegno tenuto dal lavoratore, il quale si sia imprudentemente e consapevolmente esposto al rischio omettendo di adottare le misure imposte dal datore di lavoro.
Di fronte ad una malattia infettiva dalle caratteristiche generalmente sconosciute, tanto è vero che a tutt’oggi le nozioni scientifiche non ci consentono d’identificare con certezza le modalità di contagio, sarà senz’altro difficile contemperare la necessaria tutela del lavoratore con le concrete difficoltà per il datore di lavoro di adottare, soprattutto nella piena fase emergenziale, ogni misura diretta ad eliminare la fonte di pericolo, così come previsto dall’art. 2087 c.c.

b) Responsabilità penale e violazione del D. Lgs 231/2001
Potrà poi configurarsi una responsabilità penale del datore di lavoro per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p., con procedibilità d’ufficio, salvo l’ipotesi di malattia guaribile in meno di 40 giorni, nel qual caso la procedibilità del reato è a querela della persona offesa.
I predetti reati potranno, tuttavia, essere concretamente contestati in presenza di tre condizioni:
1. che il contagio sia avvenuto all’interno dell’ambiente di lavoro;
2. che vi sia stata una violazione della normativa emergenziale e/o del Testo Unico sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81 del 2008, in particolare dagli artt. 17-55);
3. che sussista un nesso di causalità tra l’evento dannoso (lesioni o morte) e la violazione della normativa predetta.
Ulteriormente, accanto alle richiamate previsioni, assume rilevanza il D. Lgs 231/2001 che ha introdotto la responsabilità c.d. amministrativa, invero sostanzialmente penale, dell’ente persona giuridica connessa ai reati consumati nell’ambito dell’attività d’azienda.
In particolare, per potersi configurare una responsabilità della persona giuridica devono cumulativamente ricorrere alcune condizioni:
– l’illecito deve essere commesso, in assenza di un modello organizzativo di gestione, dal legale rappresentante della società o da chi sia investito di poteri di rappresentanza, di amministrazione o comunque di gestione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia;
– il reato accertato deve rientrare nell’elenco dei c.d. reati presupposto, ovvero quell’elenco di fattispecie a cui il legislatore ha dato rilievo anche in ambito di responsabilità ex 231/2001 (dal 2007 sono state inserite nel novero dei c.d. reati presupposto due fattispecie tipicamente ricorrenti nell’ambito dell’operatività aziendale, ovvero le lesioni colpose e l’omicidio colposo legate all’inosservanza delle normative in materia di sicurezza sul luogo di lavoro);
– la sussistenza di un interesse o vantaggio correlato alla commissione del reato. Circoscrivendo l’analisi all’ambito dei reati colposi che qui interessa, l’interesse o vantaggio è individuato nel risparmio economico correlato all’omessa adozione di cautele che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento. Conseguentemente, qualora il contagio da covid-19 sia derivato da una carenza di precauzioni da parte del datore di lavoro, da cui sia derivato un risparmio economico, può ritenersi sussistente il vantaggio o l’interesse dell’ente.
Pertanto, laddove, venga ravvisata l’inosservanza di prescrizioni normative in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, ad esempio l’assenza di predisposizione di idonei dispositivi di protezione individuali, che ha cagionato delle lesioni o il decesso, anche la persona giuridica in assenza di un modello organizzativo di gestione, verrà chiamata a rispondere ai sensi del D. Lgs. 231/2001, con la possibilità di incorrere in gravi sanzioni, anche interdittive.
La cornice normativa di riferimento fin qui rappresentata mostra tutta la sua complessità circa l’individuazione degli elementi idonei atti a sostenere l’accusa in giudizio; ciò non vale a giustificare e/o incentivare un comportamento eventualmente “spregiudicato” da parte del datore di lavoro che, comunque, ad onor del vero, difficilmente potrà eliminare tutti i rischi connaturati all’attività economico-produttiva.
In assenza di apposito ed imprescindibile “scudo” civile-penale, prevedibilmente, assisteremo al prolificare di un contenzioso le cui implicazioni avranno un presumibile impatto anche sulla ripartenza del Paese.

Pubblicato il 7 maggio 2020