Con l’ordinanza n. 742/2020 del 16/01/2020 la Corte di Cassazione – sesta sezione civile – rivendendo il proprio precedente orientamento ritiene che può essere attribuita la qualità di consumatore al terzo garante che ha prestato fideiussione, per finalità estranee all’attività dallo stesso esercitata, a garanzia di debiti facenti capo ad un professionista (nel caso di specie si trattava di una banca).
In particolare, la Corte di Cassazione, al fine di individuare il giudice territorialmente competente ad emettere il decreto ingiuntivo richiesto da un istituto di credito nei confronti di un fideiussore, si trova a dover risolvere il quesito se la persona fisica – che, fuori dall’ambito della sua eventuale attività professionale, presti fideiussione a garanzia di un soggetto che non è consumatore – rimanga tale o debba essere considerato come soggetto diverso dal consumatore (cd. “professionista di riflesso” o di “rimbalzo”).
Nell’affrontare la questione, la Corte richiama il proprio consolidato orientamento (cfr. ex multis: Cass. Civ., sent. n. 24846/2016; Cass. Civ., sent. n. 16827/2016; Cass. Civ., sent. n. 25212/2011; Cass. Civ., sent. n. 13643/2006; Cass. Civ., sent. n. 10107/2005) in forza del quale la persona fisica che presta fideiussione per la garanzia di un debito facente capo ad un soggetto professionale, non assume la veste di consumatore.
Il riportato orientamento trae origine da un datato arresto della Corte di Giustizia della Comunità Europea (trattasi della sentenza del 18 marzo 1998 resa nella causa C – 45/96) secondo il quale la speciale disciplina comunitaria dettata a tutela del consumatore “è applicabile solo quando il contratto principale si configuri come atto di consumo”.
Il corollario sul quale si fonda il principio dianzi enunciato è da ravvisarsi nell’argomentazione che, stante il carattere subordinato della garanzia personale rispetto al debito principale cui accede, l’oggetto dell’obbligazione fideiussoria si determina “per relationem” sulla base del contenuto dell’obbligazione principale.
Tuttavia, il richiamato orientamento, seppur consolidato, non può considerarsi anche incontrastato.
Infatti, come rilevato nell’ordinanza n. 742/2020, la Corte di Cassazione in due precedenti pronunce (Cass. Civ., sent. n. 32225/2018, e Cass. Civ., sent. n. 449/2005), discostandosi dall’indicato tradizionale orientamento, ha affermato che, riguardo al tema dello status da riconoscere al fideiussore, è da escludere che possa essere dato rilievo alla “natura societaria” del debitore principale ai fini dell’eventuale applicazione della normativa di protezione del consumatore.
Tra l’altro, sempre come rilevato dal Supremo Collegio, la prospettiva adottata dal menzionato arresto comunitario del 1998, è stata superata da ben due successive pronunce.
Trattasi, nello specifico, delle sentenze del 19 novembre 2015 e del 14 settembre 2016 (rese, rispettivamente, nella causa C – 74/15 e nella causa C – 534/15), con le quali la Corte di Giustizia ha statuito che: “il contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce, dal punto di vista delle parti contraenti si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale”.
Rebus sic stantibus, la Corte di Cassazione, ritenendo di dovere abbandonare il proprio precedente tradizionale orientamento, con l’ordinanza n. 742/2020, afferma il seguente principio: “alla stregua dell’interpretazione che, nell’attuale, questa Corte dà della nozione generale di consumatore (cfr., da ultimo, Cass., 26 marzo 2019, n. 8419), tale dev’essere considerato il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo i questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio)”.
Il mutato orientamento del Supremo Collegio impone agli interpreti ed agli operatori del settore – ed in particolare istituti di credito e compagnie assicurative – una riflessione in merito all’eventuale vessatorietà di altre clausole (diverse da quelle dedicate all’identificazione del foro territorialmente competente) contenute nel regolamento contrattuale nel caso in cui al fideiussore (ovvero al coobbligato) debba essere riconosciuta la qualifica di “consumatore”.
Infatti, l’art. 33, comma 2, lett. t), del D. Lgs. n. 206/2005 (cd. “Codice del consumo”) dispone che si presumono vessatorie fino a prova contraria, e, di conseguenza, nulle in forza del successivo art. 36, comma 1, le clausole che hanno per oggetto o per effetto di “sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con terzi”.
Pertanto, alla luce del chiaro dettato contenuto nella richiamata disposizione normativa, nel caso di fideiussione rilasciata da un soggetto qualificabile come “consumatore”, il Giudice potrebbe dichiarare la vessatorietà – e, di conseguenza la nullità – della clausola che dispone la cd. “garanzia a prima richiesta” in quanto, con detta clausola, gli istituti bancari o le compagnie assicurative impediscono al fideiussore di sollevare eccezioni per paralizzare la richiesta di pagamento dagli stessi avanzata, contravvenendo così al precetto contenuto nel richiamato art. 33.
Pubblicato il 14 febbraio 2020