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LA VALIDITA’ DEI CONTRATTI BANCARI “MONOFIRMA” ALLA LUCE DELLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE N. 898/2018

Con ordinanza del 2017 (n. 10447) la prima sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle SSUU la questione, ritenuta di massima e particolare importanza, ex art 374 comma 3 cpc, “se i contratti di investimento debbano essere, a pena di nullità, sottoscritti oltre che dal cliente anche dall’intermediario, ex art 23 TUF” il quale recita che “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (…) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (…) Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo (…); aggiunge il terzo comma che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente“.

Nonostante la questione sia stata rimessa alle SSUU per un caso relativo a contratto di investimento, il principio adottato dalla Suprema Corte deve intendersi applicabile sia ai contratti di investimento che ai contratti bancari in quanto è comune lo spirito della disposizione sulla forma contenuto nell’art. 23 TUF e nell’art 117 TUB laddove statuiscono che “i contratti sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato ai clienti”.

L’urgenza di rimettere la questione suindicata alle SSUU non è quindi sorta da un contrasto giurisprudenziale tra sezioni o all’interno della stessa sezione ma da una preoccupazione legata all’impatto sul contenzioso, presente e futuro. Si è constato, infatti, che per prassi la banca trattiene copia del contratto sottoscritto dal cliente e consegna al cliente la copia sottoscritta dalla banca, col risultato che, nel processo, il contratto firmato dalla banca non c’è (perché il cliente non lo ha conservato o perché non lo produce).

Pertanto, considerata la persistente diffusione di questa prassi, la questione della validità del contratto monofirma è divenuta una questione di massima importanza dato che l’impatto sul contenzioso della soluzione della nullità per mancata sottoscrizione dell’intermediario è, dal punto di vista dei numeri, impressionante.

Sino alla sentenza delle SSUU, la Cassazione (con recenti sentenze 5919/2016- questa citata dalle SSUU-; 3626/2016; 36/2017) si era pronunciata esclusivamente in favore della dichiarazione di nullità dei contratti monofirma, in applicazione del principio di carattere generale secondo il quale se è prevista la forma scritta ad substantiam il contratto dev’essere provato a mezzo della produzione in giudizio negando la possibilità di:

-desumere la conclusione del contratto dalla dichiarazione sottoscritta dal cliente di poter aver ricevuto copia del contratto sottoscritta dal soggetto abilitato a rappresentare la banca

-provare per testimoni la conclusione del contratto non ricorrendo né il caso della perdita incolpevole ex art 2724 n.3 c.c., né quella per presunzioni ex art 2729 c.c., né a mezzo del giuramento ex art 2739 c.c.

-invocare il principio per cui la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha firmata realizza un equivalente della sottoscrizione dato che si potrebbe semmai ritenere perfezionato il contratto con effetti ex nunc e non ex tunc (anche se su questo punto si era pronunciata, isolatamente, in senso difforme la Cass. Civ. 4564/2012).

Ciò in forza del principio secondo cui quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch’essi di forma scritta

Secondo autorevole dottrina (Daniele Maffeis), citata nella stessa sentenza delle SSUU in commento, l’orientamento giurisprudenziale fino a quel momento assunto dalla Corte rispondeva alla necessità di considerare la nullità prescritta dagli artt 23 e 117 non soltanto come nullità con funzione informativa posta a protezione del cliente/contraente debole, ma anche e soprattutto come sanzione civile. La nullità del contratto monofirma avrebbe quindi lo scopo di sanzionare la banca per non avere, secondo quanto emergerebbe dal processo, sottoscritto il contratto. La forma scritta ad substantiam sanzionata con la nullità risponderebbe quindi ad un’esigenza di tutela dell’ordine pubblico per garantire la fiducia e l’integrità dei mercati e così, mediatamente, anche proteggere gli investitori. La nullità va quindi a sanzionare un difetto di organizzazione e di professionalità in quanto un mercato finanziario e bancario nel quale, per prassi, non si sa chi abbia prestato il consenso per la banca non è un mercato ben organizzato e professionale che come tale ispiri fiducia agli investitori ed assicuri integrità al mercato nel suo complesso.

Siamo quindi di fronte a due differenti esigenze:

-da un lato quella di sanzionare con la nullità del contratto monofirma quella prassi bancaria errata affinché la stessa venga corretta in modo tale da assicurare maggiore professionalità e stabilità ai mercati finanziari e bancari,

-dall’altro lato quella di far fronte ad un’emergenza anche numerica (considerando che il processo e la stessa giurisdizione sono state definite risorse “non illimitate” Cass SSUU 26424/2014), per cui ove si desse continuità alla soluzione della dichiarazione di nullità, il contenzioso banca-cliente potrebbe ulteriormente ampliarsi considerando che il cliente verrebbe a disporre col rimedio della nullità di un jolly formidabile.

In particolare la Corte, nell’ordinanza che ha rimesso la questione alle SSUU, ha sottolineato l’importanza di evitare l’abuso dell’azione di nullità per difetto di sottoscrizione dell’intermediario nella forma della c.d. nullità selettiva, che si ha quando il cliente chiede l’accertamento della nullità dei soli atti di investimento rivelatisi a lui sfavorevoli. Sul punto l’orientamento espressosi sino a quel momento dalla Corte era appunto di accogliere e ritenere ammissibili le nullità selettive in quanto la nullità risponde, nella fattispecie, come sopra indicato, ad un interesse generale (la regolarità dei mercati, la stabilità del sistema finanziario) da cui consegue la facoltà legittima di agire in relazione ai singoli ordini, aventi autonoma valenza di negozi esecutivi del contratto quadro e lo stesso carattere relativo della nullità esclude che l’investitore possa essere tenuto a dolersi anche di operazioni eseguite in buona fede e produttive di utili difettando di interesse, anzi, ove questi dovesse scegliere tra agire per la nullità dell’intero rapporto oppure subire la violazione dell’intermediario.

E’ in tale quadro complessivo che è intervenuta la pronuncia delle SSUU n. 898/2018 del 16.1.18 la quale, con ogni evidenza, ha voluto porre in primo piano l’esigenza di tutelare la “risorsa giustizia” dando così anche voce a quel manipolo (crescente) di Corti Territoriali per le quali l’idea stessa di due sottoscrizioni sarebbe sintomo di un formalismo “vacuo ed inutile” (Trib Milano 16.11.2011- Corte App. Milano 1288/17).

Le SSUU nel dare risposta al quesito, ossia se il contratto di investimento ed il contratto bancario debbano essere, a pena di nullità, sottoscritti oltre che dal cliente anche dall’intermediario, ex art 23 TUF, sono partite da una fondamentale premessa legata alla ratio ispiratrice della norma di cui all’art 23 tuf, stabilendo che trattasi di nullità per difetto di forma posta nell’esclusivo interesse del cliente così come è a tutela di questi la previsione della consegna del contratto: “nullità intesa ad assicurare a quest’ultimo da parte dell’intermediario la piena indicazione degli specifici servizi forniti, della durata e della modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, dei contenuti e della documentazione da fornire in sede di rendicontazione ed altro come specificamente indicato, considerato che è l’investitore che abbisogna di conoscere e di poter all’occorrenza verificare nel orso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto”.

Va da sé, prosegue la Corte, che la finalità protettiva nei confronti dell’investitore si riverbera in via mediata sulla regolarità e trasparenza del mercato. Il vincolo di forma imposto dal legislatore (composito in quanto vi rientra la consegna del documento contrattuale) va inteso secondo quella che è la funzione propria della norma e non richiamando la disciplina generale sulla nullità.

La forma prescritta dall’art. 23 TUF non assume quindi un valore strutturale ma funzionale: infatti la ratio della norma è quella di porre le condizioni perché l’investitore posse venire a conoscenza delle caratteristiche del contratto quadro e possa disporre dello stesso documento per tutta la durata del rapporto attraverso la consegna di un esemplare dello stesso.

Quindi, prosegue la sentenza, a fronte della specificità della normativa che qui interessa correlata alla ragione giustificatrice della stessa è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, una volta che risulti provato l’accordo e che vi sia stata la consegna della scrittura all’investitore, necessiti ai fini della validità del contratto quadro.

Rimane assorbito quindi l’elemento strutturale della sottoscrizione dell’intermediario che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo predisposto dall’intermediario e la consegna dell’esemplare al cliente, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione. Il consenso della banca si ricava quindi da altre manifestazioni di volontà quali la predisposizione del testo contrattuale, la raccolta della sottoscrizione del cliente, la consegna del documento o l’esecuzione del contratto stesso. Tali comportamenti sono quindi concludenti, ossia idonei a rivelare, anche in via presuntiva, l’esistenza dell’originario consenso.

Le SSUU concludono quindi affermando il seguente principio di diritto “il requisito della forma scritta nel contratto quadro è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

La stessa sentenza in commento ha richiamato nelle motivazioni l’orientamento della nullità come sanzione civile ritenendo che la stessa, pur muovendosi dall’esigenza di modificare in meglio la prassi organizzativa bancaria si muove in un’ottica esasperatamente sanzionatoria e non trova peraltro solido fondamento nella normativa in esame.

Considerazioni conclusive

È condivisibile il principio di diritto e quindi la soluzione adottata dalle SSUU che supera i formalismi sino a quel momento seguiti dalla Cassazione, laddove si considera che con la predisposizione del contratto da parte della banca potrebbe dirsi non più necessaria l’ulteriore formale approvazione del predisponente considerato che l’adeguata ponderazione e la rispondenza dell’accordo ai propri interessi è stata già valutata con la redazione del documento medesimo.

Alla luce della pronuncia delle SSUU ed all’importanza della prova della consegna al cliente della documentazione contrattuale affinché si concretizzi e realizzi la finalità di protezione della parte debole, c’è chi prevede sia ragionevole ipotizzare che il contenzioso si sposterà sulla prova o meno dell’avvenuto assolvimento da parte della banca dell’obbligo di consegna del documento contrattuale.

Pubblicato il 6.4.2018