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SICUREZZA, RESPONSABILITÀ E CONCORSO DI COLPA NEGLI INFORTUNI SUL LAVORO Commento a Trib. Rovigo, sez. civile, sentenza del 30 aprile 2023

  1. I fatti di causa e il coinvolgimento della compagnia assicurativa

La sentenza in epigrafe, recentemente pronunciata dal Tribunale di Rovigo, sez. civile, ripercorre in modo rigoroso i principali orientamenti giurisprudenziali in materia di infortuni sul lavoro, con particolare riferimento all’incidenza delle prove raccolte in separato giudizio penale e all’utilizzabilità delle stesse da parte del giudice nella propria valutazione, nonché alla mancata interruzione del nesso causale in caso di comportamento meramente imprudente del lavoratore.

Il caso di specie traeva origine da un infortunio sul lavoro occorso nel 2010 in uno stabilimento industriale, allorquando un’apprendista operaia, nel tentativo di pulire un macchinario a fine lavorazione, inseriva la propria mano all’interno, riportando gravi lesioni. Gli accertamenti compiuti evidenziavano come il macchinario fosse stato oggetto di una modifica, consistente nell’allargamento del foro di apertura, da parte del datore di lavoro, tale da renderlo ampio a sufficienza da consentire l’ingresso di una mano umana (operazione in origine non possibile).

In seguito agli eventi descritti, veniva instaurato un procedimento penale, conclusosi nel 2018 con la declaratoria d’intervenuta prescrizione. Al contempo, la vicenda risarcitoria seguiva il suo corso, giungendosi all’esercizio, da parte della Compagnia che aveva assicurato lo stabilimento industriale, dell’azione ex art. 1916 c.c. nei confronti dei “responsabili del sinistro”, e segnatamente: i) il “consigliere delegato alla sicurezza”, quale membro del CdA della società titolare dello stabilimento industriale in cui era occorso il sinistro (poi fallita); ii) il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), quale soggetto normativamente deputato (tra l’altro) all’individuazione dei rischi ed all’elaborazione di misure preventive e protettive.

  1. Sulla valutazione delle risultanze del procedimento penale come “prove atipiche”

Il primo profilo affrontato dal Tribunale attiene alla corretta ricostruzione dell’evento dannoso, desunta non solo dagli atti d’indagine compiuti dal Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro (c.d. SPISAL), depositati da parte attrice, bensì soprattutto dalla documentazione proveniente dal procedimento penale, instaurato per i medesimi fatti e conclusosi nel 2018 per intervenuta prescrizione.

Al netto di tale declaratoria in sede penale, non vi è dubbio che il compendio probatorio, costituito dagli accertamenti compiuti nelle immediatezze dei fatti dalla Polizia Giudiziaria, costituisca, in caso di infortunio sul lavoro quale quello di specie, un elemento imprescindibile per accertamento di fatti ormai risalenti nel tempo.

Ebbene, il Tribunale, menzionando adeguata giurisprudenza a supporto, ha correttamente ricostruito l’utilizzabilità delle sentenze penali come “prove atipiche, liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c.”. Il medesimo principio è, per estensione, valido anche per le prove raccolte nel corso dei procedimenti che alle sentenze (penali) hanno dato causa, nella misura in cui queste ultime diano adeguata “documentazione” delle risultanze probatorie ivi raccolte.

Il precedente esplicitamente citato è Cass. Civ., sez. III, n. 840/2015, per la quale “Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova”; ma il principio è altresì fatto proprio dalla giurisprudenza di merito.

È dunque agevole per il giudice, in via preliminare – e, deve essere opportunamente sottolineato, in assenza di efficaci contestazioni – sancire la possibilità di utilizzare quanto già formato nel processo penale (seppur, lo si ribadisce, estintosi per prescrizione) al fine di accertare e dare forma all’an della pretesa risarcitoria, i.e. la verificazione dell’evento lesivo.

  1. Il ruolo del delegato alla sicurezza e del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

Sancita l’utilizzabilità delle prove raccolte nel procedimento penale, quantunque prescritto, il Tribunale passa poi ad esaminare la posizione delle persone fisiche, nello specifico il consigliere delegato per la sicurezza, e il RSPP, quale soggetto esterno incaricato degli adempimenti e delle valutazioni attribuite dal d.lgs. n. 81/08.

Quanto alla prima posizione, il Tribunale dedica pochi cenni alla (pacifica) qualifica di consigliere delegato per la sicurezza del convenuto. Tale ruolo risultava per tabulas dalla struttura organizzativa della società e dai verbali del CdA, mai impugnati o contestati dal soggetto; né veniva ritenuto meritevole di pregio ogni ulteriore rilievo sul punto, dato che vi era prova di siffatto ruolo in capo alla persona fisica nel periodo antecedente e successivo al verificarsi del sinistro: sicché “appare inverosimile che, anche alla luce dei documenti e delle argomentazioni sopra articolate, [OMISSIS] non abbia svolto la funzione di delegato alla sicurezza esclusivamente nel periodo in cui è occorso il sinistro”.

In riferimento alla causazione del sinistro, il Tribunale valorizza infine le specifiche competenze tecniche del soggetto per argomentare la “verosimile” conoscenza della modifica operata sul macchinario: e ciò, si badi, non sulla base di elementi certi di conoscenza del fatto ma sulla combinazione di elementi indiziari e di responsabilità da posizione (“il convenuto va ritenuto corresponsabile nella causazione del danno occorso […] egli, delegato alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, era verosimilmente consapevole della modifica apportata al macchinario in questione, soprattutto se si tiene conto che […] aveva avuto certamente modo di prendere visione dello stesso anche in un periodo precedente a quello del sinistro”). L’utilizzo di formule presuntive (“verosimilmente… aveva avuto certamente modo di prendere visione”) sul fronte soggettivo appare non coordinato con la visione, ben più rigorosa, della “cosiddetta causalità della colpa, ossia la dimostrazione del nesso in concreto tra la condotta violatrice e l’evento”. Su tale, ultimo fronte il Tribunale, lungi da valutazioni presuntive, è infatti ben attento a segnalare come la modifica al macchinario abbia costituito non una generica violazione di norma antinfortunistica, bensì la causa specifica, immediata e diretta dell’evento lesivo, concretizzazione del rischio che la norma disattesa mirava ad evitare.

Quanto al RSPP, ferme le considerazioni di cui sopra, il Tribunale ha modo di citare espressamente le dichiarazioni da questo rese nel procedimento penale per i medesimi fatti, appurando non solo come la modifica del macchinario fosse nota ma altresì come essa fosse stata oggetto di specifica formazione coi lavoratori, volta ad evitare che questi, per frettolosità o distrazione, inserissero le mani all’interno dello stesso e riportassero gravi lesioni. Da una simile circostanza il Tribunale argomenta non più la “verosimile conoscenza” del rischio, quanto, più comprensibilmente, la “specifica conoscenza dello stato della macchina e della pericolosità della stessa”, posto che, come già ricordato (§1), la formazione nel senso sopra inteso non avrebbe avuto alcun motivo di essere erogata in presenza del macchinario originario, nel quale, come accertato in via documentale, il rischio di lesioni del tipo in concreto occorso non era fisicamente possibile.

  1. Il concorso di colpa del danneggiato addetto a lavorazioni pericolose

Da ultimo, il Tribunale, puntualmente ricostruita la posizione dei responsabili della sicurezza, procede ad esaminare i rilevi dei convenuti, con specifico riferimento al concorso di colpa della lavoratrice. Infatti, era in atti che la predetta – pur nella consapevolezza della necessità di spegnere il macchinario prima di compiere qualsiasi operazione e dell’obbligo di indossare appositi guanti metallici – non avesse rispettato le cautele di cui era edotta – anche alla luce della predetta formazione svolta dal RSPP –  inserendo frettolosamente la mano nel macchinario inceppato e conseguentemente riportando gravi lesioni (“avendo la stessa riferito di essere a conoscenza della necessità di spegnere la macchina prima di effettuare un intervento […] e di aver tentato di estrarre il prodotto incastrato senza disattivare il macchinario perché aveva fretta di terminare il lavoro”).

In prima battuta, il Tribunale è rigoroso nell’affermare, in aderenza all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che “il datore di lavoro è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei lavoratori o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive, stante il dovere di proteggerne l’incolumità anche in tali evenienze prevedibili”. A supporto della propria tesi, il Tribunale fa puntuale riferimento all’indirizzo della Suprema Corte in materia di rischio elettivo, nello specifico:

  • la recente Cass. Civ., Sez. 3 – Sent. n. 4980 del 16 febbraio 2023, per la quale è obbligo dell’imprenditore “adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori […] l’eventuale colpa del lavoratore non è idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno”. La stessa sentenza ricorda inoltre come sia “necessario che ad ogni parte del complessivo sistema antinfortunistico approntato nell’azienda sia preposto un soggetto di indubbia professionalità e con specifiche conoscenze di quel sistema”;
  • Civ., Sez. 3, 7313/2013, per la quale il rischio elettivo deve essere “inteso come tutto ciò che sia estraneo e non attinente alla attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore il quale crei ed affronti volutamente in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, ponendo così in essere una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro rischio ed evento”.

Alla luce delle predette, consolidate, tesi giurisprudenziali, il Tribunale, riesaminata la condotta della lavoratrice danneggiata, non vi ravvisa il “necessario carattere di abnormità e imprevedibilità tale da interrompere il nesso causale”, atteso che: i) la condotta lavorativa tipica della danneggiata prevedeva l’interazione con il macchinario modificato; ii) la danneggiata, pur non essendosi attenuta alle indicazioni sull’utilizzo dell’attrezzatura, aveva subito il danno in conseguenza della modifica (rectius: se questa non fosse esistita, il comportamento imprudente sarebbe stato fattualmente impossibile).

Per quanto pacifico possa apparire il suesposto ragionamento, la sentenza in commento, ad un più attento esame, svolge invero delle considerazioni qualitativamente diverse dai presupposti logico-giurisprudenziali da cui prende le mosse, sulle quali è opportuno soffermarsi. È infatti evidente come il fulcro della vicenda sia, a parere del Tribunale, la modifica operata al macchinario, quale momento “consumativo” e genetico della situazione di pericolo concreto per la lavoratrice. Sotto una diversa prospettiva, a parere del Tribunale è dunque superfluo discutere sulla possibile interruzione del nesso causale, posto che “appare del tutto assorbente, da un punto di vista causale, la antecedente deliberata scelta del datore di lavoro di operare una modificazione del macchinario pericoloso a favore di una velocizzazione del processo produttivo a discapito della sicurezza dei lavoratori”.

In definitiva, la pronuncia, pur nella predetta scia giurisprudenziale in tema di nesso causale e “rischio elettivo”, pare tracciare un proprio, autonomo solco, nell’assunzione – se non nella presunzione – che la modifica di un macchinario, a fini produttivi e in senso deteriore per la sicurezza dei lavoratori, sia di per sé sola causa di responsabilità per il datore di lavoro. Quest’ultimo, infatti, è ammesso alla prova liberatoria – di per sé diabolica nel caso di specie – laddove possa dimostrare non tanto la condotta colposa del lavoratore ma, altresì, l’assenza di aggravamento del rischio in conseguenza della modifica. D’altronde, a parere del Tribunale, non assume rilevanza nemmeno il fatto che la lavoratrice sia stata destinataria di una sanzione amministrativa in conseguenza dell’uso scorretto del macchinario stesso (“il fatto che la condotta posta in essere dalla stessa abbia integrato una fattispecie punibile con sanzione amministrativa non incide sulla valutazione, ontologicamente diversa, che il giudice è chiamato a compiere in ordine al nesso di causa; peraltro, neppure può sostenersi che la mera circostanza della irrogazione di una sanzione possa in qualche modo vincolare il giudice in tal senso”).

  1. Conclusioni

L’estesa pronuncia del Tribunale di Rovigo costituisce un utile vademecum di dottrina e giurisprudenza in materia di infortuni sul lavoro. Nondimeno, a fronte di ampia giurisprudenza a supporto, il giudice di merito non rinuncia a svolgere proprie considerazioni autonome sul rapporto tra condotta dei preposti alla sicurezza, condotta del lavoratore ed evento lesivo. Il quadro risultante, invero, è quanto più possibile a tutela del lavoratore, identificato quale soggetto “debole” a fronte di interventi dell’azienda che causino, in concreto, un detrimento delle condizioni di sicurezza. Per quanto in alcuni passaggi – soprattutto in tema di responsabilità da posizione e di negazione del concorso di colpa – lo sbilanciamento appaia financo troppo marcato, esso rivela un indirizzo di forte tutela del lavoratore, del quale tenere debito conto in sede di modifica delle caratteristiche di fabbrica di un macchinario industriale, nonché di ogni mutamento delle condizioni lavorative, da cui possa derivare un incremento del rischio di eventi lesivi: e ciò, come visto, anche e soprattutto nel caso in cui una simile modifica (e i correlati rischi) siano portati a conoscenza del lavoratore stesso.