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Errori nella forma dell’opposizione a decreto ingiuntivo e meccanismi di conversione del rito: la Corte di Cassazione auspica l’intervento del Legislatore

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 927 del 13 gennaio 2022, si sono nuovamente pronunciate sulla rilevante questione inerente l’introduzione del processo secondo un modello formale errato, con riferimento, in particolare, all’opposizione a decreto ingiuntivo in materia di locazione di immobili urbani.

La vicenda trae origine da un’opposizione avverso un’ingiunzione di pagamento di somme richieste a titolo di indennità di occupazione e di rimborso delle spese condominiali, erroneamente introdotta con atto di citazione, anziché con ricorso; detta opposizione veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale di Palermo, in quanto la citazione, benché tempestivamente notificata, veniva depositata in Cancelleria oltre il termine di quaranta giorni di cui all’art. 641 c.p.c.

Viceversa, la Corte d’Appello di Palermo, pur rigettando il gravame proposto dall’originario opponente per carenza di interesse ad agire, riteneva astrattamente applicabile al caso di specie la norma sul mutamento del rito con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, contenuta nell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011.

A mente del comma 1 della norma succitata, infatti, “Quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza” e, ai sensi del successivo comma 5, “Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Nell’incardinato giudizio di legittimità, parte opposta, poi appellata, resisteva tramite controricorso e proponeva altresì ricorso incidentale, impugnando la decisione della Corte territoriale proprio per violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011.

In particolare, il ricorrente incidentale negava l’operatività della norma con riguardo al caso di specie, atteso che con l’opposizione a decreto ingiuntivo non viene “promossa” una controversia autonoma e nemmeno un grado autonomo di giudizio, ma si dà soltanto impulso alla seconda fase di un giudizio già pendente.

Di qui, con l’ordinanza interlocutoria n. 13556 del 18 maggio 2021, la Terza Sezione del Supremo Collegio ha sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite allo scopo di risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia al fine di determinare l’applicabilità o meno, anche al predetto giudizio, degli effetti sostanziali e processuali della domanda ex art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 in caso di errore nella scelta del rito.

La Terza Sezione, nel formulare l’ordinanza interlocutoria nei termini sopra indicati, richiama uno degli ultimi approdi della Corte stessa, secondo cui “L’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di controversie locatizie, come tale soggetto al rito speciale di cui all’art. 447 bis c.p.c., che sia erroneamente proposta con citazione, deve ritenersi tempestiva, se entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. avvenga l’iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell’atto di citazione, non potendo trovare applicazione l’art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, il quale concerne i giudizi di primo grado erroneamente introdotti in forme diverse da quella prescritte da tale decreto legislativo e non anche i procedimenti di natura impugnatoria, come l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. Civ., Sez. VI, ord. 12/3/2019, n. 7071).

Dopo aver risolto il contrasto passando brevemente in rassegna una serie nutrita di precedenti che escludono recisamente la natura di mezzo di impugnazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, la sentenza n. 227/2022 delle Sezioni Unite afferma che “la questione dell’inapplicabilità nel caso in esame della disciplina sul mutamento del rito contenuta nell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011…può ritenersi fondata per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte”.

In altri termini, la difesa del ricorrente incidentale e, di conseguenza, la motivazione dell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente n. 13556/2021 non sembrerebbero cogliere del tutto nel segno: indipendentemente dalla qualificazione che si voglia attribuire al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – chiariscono gli Ermellini – “l’art. 4 del D.Lgs. rileva per i mutamenti di rito in favore di alcuno dei tre modelli elaborati dal D.Lgs. n. 150/2011 ed in funzione della trattazione dei procedimenti speciali regolati dalle disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione. Detta disciplina non opera, invece, nelle ipotesi di mutamento dal rito ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt. 426 e 427 c.p.c.”.

Sul punto, anche la più autorevole dottrina ha evidenziato che il legislatore delegato del 2011 parrebbe aver scelto di disciplinare in maniera autonoma l’errore sulla scelta del rito nell’ambito dei procedimenti di cui al D.Lgs. n. 150/2011, distanziando tale disciplina dal regime codicistico del mutamento del rito, dettato dagli artt. 426, 427 e 439 c.p.c., cui rinvia l’art. 447 bis c.p.c. per le controversie in materia di locazione.

La sanatoria ex art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 viene, infatti, pacificamente ammessa dai giudici di legittimità in relazione all’opposizione all’ingiunzione chiesta dall’avvocato per il pagamento degli onorari, regolata dall’art. 14 del D.Lgs. n. 150/2011 (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 23/2/2018, n. 4485; Cass. Civ., Sez. II, 26/9/2019, n. 24069) ovvero in relazione all’opposizione a sanzioni amministrative derivanti dalla violazione del Codice della Strada, da proporsi ai sensi dell’art. 7 del citato decreto (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 26/5/2020, n. 9847).

Anzi, in questi casi, gli effetti, sostanziali e processuali, della domanda irritualmente avanzata si producono alla stregua del rito concretamente adottato non solo quando il Giudice di primo grado abbia tempestivamente adottato l’ordinanza di mutamento del rito prescritta dal primo comma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011, ma anche quando tale provvedimento sia mancato, con conseguente consolidamento del rito erroneo (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 12/1/2022, n. 758, “gemella” della pronuncia in commento).

L’orientamento interpretativo del Supremo Collegio, confermato dalle Sezioni Unite del 13 gennaio 2022, appare altrettanto consolidato nel ritenere che, nella diversa ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto crediti derivanti da locazione e disciplinata dall’art. 447 bis c.p.c., la conversione dell’atto introduttivo sia da effettuarsi sulla base del criterio generale di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c. e, dunque, tenuto conto dell’idoneità dell’atto medesimo ad instaurare un valido rapporto processuale secondo lo schema legale prescritto.

Conseguentemente, la citazione potrà produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. – costituendo il deposito in cancelleria, nei giudizi da introdursi con ricorso, il momento cui è collegata l’utile instaurazione del rapporto processuale – non essendo sufficiente che entro tale data la stessa sia stata comunque notificata alla controparte (cfr. Cass. Civ., sez. VI, 19/9/2017 n. 21671; Cass. Civ., Sez. III, 18/5/2016, n. 10143; Cass. Civ., Sez. VI, 29/12/2016, n. 21671; Cass. Civ., Sez. III, 15/1/2013 n. 797; Cass. Civ., Sez. Un. 23/9/2013, n. 21675).

A conclusione della motivazione, i Giudici di Piazza Cavour ricordano, però, che la notevole differenza operativa sussistente tra la disciplina propria dei riti semplificati di cui al D.Lgs. n. 150/2011 e quella riguardante le controversie locatizie del Codice di procedura civile è stata ripetutamente sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.

In proposito, il Giudice delle leggi, pur ritenendo non manifestamente irragionevole la regola codicistica e conseguentemente dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 426 c.p.c. in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, ha evidenziato come la riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub art. 426 c.p.c., , “riflette, appunto, una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell’atto irrituale, per raggiungimento dello scopo” (cfr. Corte Costituzionale, 2/3/2018, n. 45).

Anche le Sezioni Unite fanno eco all’auspicio espresso dalla Consulta, ribadendo che “Si è dinanzi…all’esigenza di pervenire alla modifica di regole processuali”, modifica che, tuttavia, è riservata alla discrezionalità del legislatore.

Insomma, gli Ermellini lasciano intendere di aver dato continuità all’orientamento interpretativo consolidato in tema di effetti del combinato disposto degli artt. 426 e 156, comma 3, c.p.c. in ragione dei limiti cui è sottoposto il potere giurisdizionale stesso.

Ci si augura, pertanto, che il monito del Supremo Collegio venga ascoltato dal Parlamento, onde addivenire all’uniformazione dei meccanismi di conversione del rito ed alla semplificazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Pubblicato il 2 febbraio 2022