Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 26 aprile 2022 emessa dal Presidente della Seconda Sezione Civile, nell’affrontare un caso di responsabilità di una struttura di residenza per anziani relativa a un decesso a causa di infezione Covid, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso promosso ai sensi del combinato disposto degli artt. 8 Legge 24/17 e 696 bis c.p.c.
Nella fattispecie, i ricorrenti agiscono in giudizio nei confronti di una struttura di residenza per anziani, imputando a detta struttura una responsabilità per il contagio da Sars Cov 2 del proprio congiunto, oltreché una negligenza nell’assistenza medico-infermieristica che ne avrebbe cagionato la morte, ovvero una minor durata di vita ovvero ancora una perdita di chances di sopravvivenza dello stesso.
Il Giudice, dopo avere preliminarmente rilevato la delicatezza e la rilevanza della questione, conduce una disamina particolarmente attenta, non solo richiamando tutti i precedenti di merito già noti in punto di ammissibilità del procedimento per ATP nelle ipotesi di responsabilità riferibile ad una struttura ospedaliera relativa ad un decesso a causa di infezione Covid, ma spingendosi a un approfondimento per verificare i confini dell’obbligatorietà prevista dall’art. 8 della Legge 24/17, ovvero i limiti derivanti dalle norme codicistiche che disciplinano la c.t.u..
Il Tribunale di Bologna, pertanto, conclude ritenendo che l’obbligatorietà della c.t.u. prevista dall’art. 8 della Legge n. 24/2017 riguardi soltanto la c.t.u. percipiente, “qual è in genere quella necessaria nelle ipotesi di responsabilità medica in senso stretto, cioè quella in cui la prova del fatto costitutivo della domanda possa essere fornita unicamente tramite il ricorso a cognizioni tecnico – scientifiche”. Viceversa, “la verifica di una responsabilità della parte resistente per non aver impedito il contagio Covid di un soggetto ospitato in una struttura non dipende soltanto da una prova che possa essere fornita attraverso il ricorso a cognizioni tecnico scientifiche; infatti, in questi casi, possono assumere un rilievo primario le circostanze di fatto che connotano il singolo caso in esame, sia con riferimento alla generale organizzazione della struttura, sia con riferimento alle concrete contingenze del momento in cui si verificava l’evento dannoso, sia con riferimento all’ottemperanza della struttura medesima alle direttive vigenti in quel momento e formulate tramite le circolari governative, ministeriali e regionali che via via si susseguivano”.
In altre parole, la c.t.u. costituisce vera e propria fonte di prova se il fatto sia percepibile nella sua intrinseca natura solo mediante cognizioni e strumentazioni tecniche che il Giudice non possiede, ma è quantomeno necessario che vengano dedotte le circostanze e gli elementi specifici posti a fondamento del diritto azionato, non potendo la parte rimettersi in toto all’accertamento svolto dal consulente.
Il Giudice menziona quindi una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. Sez. 3 sent. 31886 del 6/12/19 estensore Rossetti), proprio con riguardo ad una c.t.u. in materia di responsabilità medica, riportandone ampi passaggi, e concludendo che “L’applicazione dei principi illustrati comporta che l’obbligatorietà della c.t.u., come sancita dall’art. 8 L. 24/17, possa riguardare soltanto la c.t.u. percipiente, qual è in genere quella necessaria nelle ipotesi di responsabilità medica in senso stretto, cioè quella in cui la prova del fatto costitutivo della domanda possa essere fornita unicamente tramite il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche; in questi casi la deroga al dovere del c.t.u. di rispettare il principio dispositivo è, infatti, giustificata, così come risulta giustificata con riguardo all’accertamento, da parte del c.t.u., di fatti accessori o secondari di rilievo puramente tecnico. Alla luce delle considerazioni di cui sopra questo giudicante ritiene che la verifica di una responsabilità della parte resistente per non aver impedito il contagio Covid di un soggetto ospitato in una sua struttura non dipenda soltanto da una prova che possa essere fornita attraverso il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche; infatti in questi casi possono assumere un rilievo primario le circostanze di fatto che connotano il singolo caso in esame, sia con riferimento alla generale organizzazione di tale struttura, sia con riferimento alle concrete contingenze del momento in cui si verificava l’evento dannoso, sia con riferimento all’ottemperanza delle struttura medesima alle direttive vigenti in quel momento e formulate tramite le circolari governative, ministeriali e regionali che via via si susseguivano”.
Il Giudice conclude il proprio percorso motivazionale ricordando che la stessa Cassazione citata ha individuato, come corollario della violazione dei limiti in cui la c.t.u. è ammissibile, una nullità di natura assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio.
Di grande interesse, anche sotto il profilo pratico giudiziario, l’ipotesi che la scelta dello specialista da affiancare al c.t.u. medico legale per un accertamento di contagio Covid ospedaliero, possa ricadere su un igienista esperto di risk management, laddove il Giudice afferma che, in sede di accertamento tecnico preventivo ex artt. 8 Legge 24/17 e 696 bis c.p.c., e nel concreto caso in esame, “sarebbe improprio, e anche velleitario, affidare ad una c.t.u. medico legale un giudizio sulla prevenibilità, nel concreto caso in esame, del contagio Covid ospedaliero, senza prima provvedere all’acquisizione del materiale probatorio sulle relative circostanze di fatto e al di fuori di un contraddittorio su eventuali responsabilità non riferibili alla struttura sanitaria resistente; la stessa scelta dello specialista da affiancare al c.t.u. medico legale potrebbe risultare arbitraria, nell’incertezza tra le competenze di un infettivologo oppure di un igienista esperto di risk management”.
In tale ultimo passaggio, il Giudice pare avvalorare espressamente l’ipotesi che, in un giudizio di merito sulla prevenibilità del contagio Covid ospedaliero, la scelta dello specialista da affiancare al c.t.u. medico legale possa ricadere su un igienista esperto di risk management, figura professionale in possesso di competenze tecniche evidentemente diverse da quelle di un medico legale o di un infettivologo ma comunque necessarie ed essenziali al fine di valutare le soluzioni organizzative adottate dalle strutture resistenti onde contenere il rischio di contagio.
Pubblicato il 29 luglio 2022