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DANNI DA INSIDIE STRADALI: L’ONERE DELLA PROVA E IL CASO FORTUITO EX ART. 2051 C.C.

Con sentenza n. 870/2019 del 14.3.2019 la Corte d’Appello di Bologna, riformando integralmente la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda risarcitoria proposta nei confronti di un ente locale a seguito di un incidente accorso ad un motociclista, asseritamente dovuto per la presenza di una buca sul manto stradale.

La domanda risarcitoria è stata respinta poiché “manca la prova che il sinistro sia avvenuto come conseguenza della particolare condizione del manto stradale”.

Sul punto si legge in sentenza che, in mancanza della prova della pericolosità della cosa inerte e del rapporto eziologico tra detta pericolosità ed il danno, la cosa deve ritenersi unicamente l’occasione e non la causa dell’incidente, cioè “il danno non può essere correlato ad un difetto di manutenzione e controllo ma deve presumersi, in base all’id quod plerumque accidit, che sia derivato dal modo in cui la cosa è stata utilizzata da parte del danneggiato”.

Nel caso in commento, il Comune aveva, nel corso del giudizio di primo grado, eccepito il difetto di nesso causale tra il fatto e l’evento, invocando comunque l’esonero di responsabilità per caso fortuito, ovvero un fattore estraneo alla sfera di controllo dell’ente stesso.

Il Giudice di primo grado aveva, invece, ritenuto adeguatamente provato da parte attrice il nesso causale tra la caduta ed il dissesto del manto stradale.

Ciò sulla base delle dichiarazioni di testi che, pur tuttavia, non avevano assistito alla caduta, in quanto intervenuti successivamente per prestare soccorso all’attore, rinvenuto con il proprio motociclo in un fossato posto a margine della strada.

Inoltre, secondo il Giudice di primo grado, la circostanza che l’attore avesse riferito ai testi suddetti, nell’immediatezza del fatto, di essere caduto a causa della buca presente sul manto stradale, consentiva di ritenere che tali dichiarazioni fossero state rese “con verosimile spontaneità”.

La Corte d’appello ha, invece, rilevato che nessuno dei testimoni ha assistito al sinistro così da poterne riferire le modalità e che alcuna Autorità è intervenuta per eseguire rilievi, con conseguente totale assenza di riscontri oggettivi su cui possa argomentarsi in via indiziaria, per concludere che “ciò determina una carenza probatoria i cui effetti necessariamente gravano sul soggetto cui incombe il relativo onere probatorio”.

Di analogo tenore anche la recente sentenza della medesima Corte d’Appello di Bologna n. 1038/2019 del 26.3.2019, la quale ha respinto la domanda risarcitoria avanzata da un soggetto caduto in un parco, per non aver fornito la prova del rapporto di causalità tra l’evento dannoso e il bene in custodia. Nella motivazione della sentenza si legge, al riguardo, che le incertezze circa la modalità in cui si è verificata la caduta si risolvono “nel mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attore, secondo lo schema in tema di danno da cose in custodia, investendo un elemento costitutivo della fattispecie non altrimenti surrogabile”.

La Corte felsinea, ritenendo non provato il nesso causale si è conformata all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte, che prevede in capo all’attore un rigoroso onere della prova del nesso causale qualora agisca ex art. 2051 c.c.

Come ha, infatti, chiarito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 1896 del 3.2.2015, “è erroneo l’assunto in base al quale l’affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l’onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta insidia, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito”. “Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche del nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l’attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell’intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che, in assenza di una simile caratteristica della cosa, il nesso causale non può per definizione essere predicato”. (si veda anche Cass. Civ. n. 11802/2016).

La natura oggettiva o semi-oggettiva della responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova dell’elemento soggettivo della colpa del custode ma non anche dall’onere di fornire la prova del nesso di causalità.

Solo nell’ipotesi in cui il danneggiato fornisca la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia, allora incomberà al custode la prova del caso fortuito – ovvero la prova di un fattore estraneo idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo – che, come tale, consente l’esonero dalla responsabilità risarcitoria.

La giurisprudenza di legittimità e di merito è ormai tendenzialmente conforme nel ritenere, per ciò che concerne l’onere della prova ex art. 2051 c.c., che sul danneggiato “incombe la prova del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, ossia la dimostrazione che l’evento si sia prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa”, mentre resta a carico del custode “la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito”, inteso quale fatto estraneo alla sua sfera di custodia, imprevedibile ed eccezionale, con impulso causale autonomo, che può consistere anche nel fatto di un terzo o del danneggiato stesso (Corte d’Appello Roma, Sex III, 1.02.2017, n. 631; nello stesso senso si vedano anche Tribunale di Milano, Sex X, 15.11.2016, n. 12575 e n. 12574; Tribunale di Napoli, Sex VI, 8.07.2016, n. 8528).

Pubblicato il 28 marzo 2019