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“IL FALSO DISCONOSCIMENTO DI FIRMA E LA CONSEGUENTE RESPONSABILITA’ AGGRAVATA EX ART. 96 C.P.C ”. Tribunale di Bologna – sentenza n. 1584/2020.

Con la sentenza n. 1584/2020 il Tribunale di Bologna delinea i presupposti applicativi dell’art. 96 c.p.c. a fronte di disconoscimenti di sottoscrizione rivelatesi, all’esito del giudizio, manifestamente infondati.

La vicenda trae origine dall’opposizione, promossa da tre coobbligati, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto per esperire l’azione di regresso da parte della Compagnia assicuratrice. I tre opponenti disconoscevano la propria sottoscrizione apposta in calce all’atto di coobbligazione, seppur fosse evidente la riconducibilità delle loro firme disconosciute.

La Compagnia infatti resisteva in giudizio depositando i solleciti di pagamento inviati ai coobbligati e rimasti inevasi, oltre ad un riconoscimento di debito scritto di pugno da uno degli opponenti; l’istruttoria, inoltre, consentiva di accertare la sicura paternità delle sottoscrizioni in capo ai debitori.

In conformità all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22405 del 13.9.2018, il Tribunale di Bologna chiarisce innanzitutto che anche il comma terzo dell’art. 96 c.p.c. richiede, come necessario presupposto applicativo, l’accertamento della mala fede e/o della colpa grave.

Come già affermato dalla Corte Suprema, l’elemento distintivo della fattispecie del comma terzo, rispetto a quelle previste dai commi primo e secondo dell’art. 96 c.p.c., è da rinvenirsi nella volontà dell’ordinamento di punire l’abuso dello strumento processuale in sé ed a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, al fine di contemperare le esigenze di deflazione del contenzioso pretestuoso con la tutela del diritto di azione (Cass. 19 aprile 2016 n. 7726).

L’attuale configurazione dell’art. 96 comma III c.p.c. rappresenta perciò un singolare caso di “punitive damages”, istituto giuridico tipico degli ordinamenti di common law ma su cui è stata manifestata più di una perplessità in ordine alla compatibilità con il nostro assetto giuridico, nel quale la funzione del risarcimento segue la logica aquiliana riparatoria. Sul punto, sono intervenute ancora una volta le Sezioni Unite le quali hanno chiarito, in più occasioni, che l’istituto dei risarcimenti puntivi “non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano” (Cass. Civ. Sez. Un. 16601/2017 e Cass. Civ. Sez. Un. 9100/2015).

Chiarito tale aspetto, a parere del Tribunale, per malafede deve intendersi l’ipotesi nella quale la parte abbia affermato il falso o negato il vero, mentre per colpa grave deve farsi riferimento ad una difesa che sia talmente priva di verosimiglianza da risultare assolutamente impossibile l’accoglimento della domanda, ove grave negligenza o imprudenza siano tali da non consentire un uso ortodosso dello strumento processuale che, proprio perché a tutela di diritti costituzionalmente sanciti, richiede un uso, da parte dei consociati, ispirato a prudenza e diligenza.

Ricostruita cosi la fattispecie dell’art. 96 c.p.c., alla luce del disconoscimento manifestamente infondato degli opponenti e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che evidenziava la sicura paternità delle sottoscrizioni in capo ai coobbligati, il Giudice riteneva che questi ultimi avessero fatto con l’opposizione un utilizzo della difesa per scopi verosimilmente dilatori, mediante la proposizione di contestazioni prive di una ragionevole possibilità di accoglimento.

Il Giudice, in definitiva, nella fattispecie in esame, qualificava la condotta di falso disconoscimento della sottoscrizione sotto il profilo della colpa grave e, pertanto, rigettava l’opposizione e condannava gli opponenti, oltre che alle spese di lite dovute in forza della soccombenza, anche all’ulteriore somma di € 7.000,00, in favore dell’opposta, in applicazione dell’art. 96 comma III c.p.c.

Pubblicato il 20 novembre 2020