Con la recente ordinanza n. 4718, pubblicata il 14 febbraio 2022, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione si è nuovamente espressa in materia di onere della prova gravante sul correntista che agisca per l’accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito.
Dopo aver riaffermato il principio, ormai del tutto consolidato, secondo cui l’onere di provare l’illegittimità degli addebiti in conto corrente grava sul cliente che agisca nei confronti della banca e deve essere assolto mediante la produzione degli estratti conto (nello stesso senso, oltre alle pronunce citate dalla decisione in commento, Cass. Civ., Sez. VI, 13/1/2021, n. 450 e Cass. Civ, Sez. I, 17/4/2020, n. 7895), la Suprema Corte si è soffermata ad analizzare il caso del correntista che non abbia prodotto in giudizio l’intera documentazione bancaria, necessaria al fine di ricostruire il rapporto di dare e avere tra le parti sin dall’origine.
La stessa giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte sostenuto che, una volta accertata la nullità della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto debba necessariamente avvenire attraverso l’integrale ricostruzione del dare – avere, con applicazione del tasso legale, sulla base della serie completa dei relativi estratti, a partire dalla data dell’apertura fino alla data di chiusura del conto corrente.
E, tuttavia, benché di regola l’onere probatorio possa dirsi soddisfatto soltanto in caso di produzione di tutti gli estratti conto, gli Ermellini hanno altresì precisato che la mancanza di documentazione relativa ad alcuni segmenti temporali non deve necessariamente condurre al rigetto della domanda del correntista.
Invero, come ribadito dall’ordinanza n. 4718/2022, “in mancanza dei contratti di conto corrente e degli estratti conto completi, il Giudice, qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto, valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti), può integrare la prova carente sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti”.
Nella specie, argomentando a partire dalla massima sopra riportata, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di secondo grado, sfavorevole alla banca ricorrente, con la quale la Corte territoriale, in presenza di un considerevole numero di estratti conto prodotti da parte attrice, aveva incaricato il proprio ausiliario di ricostruire il rapporto di conto corrente a partire dal saldo risultante dall’estratto più risalente nel tempo.
Il Supremo Collegio, però, complice la (forse troppo) sintetica esposizione dei fatti di causa, non chiarisce le ragioni per cui, con riferimento al caso esaminato, l’integrazione probatoria ottenuta mediante consulenza contabile non rappresenterebbe una violazione dell’art. 115 c.p.c.
Soccorrono, sul punto, altre pronunce, di poco precedenti, in base alle quali, non avendo l’estratto conto valore di prova legale, “è possibile procedere alla ricostruzione (ndr del rapporto di dare – a vere) anche attraverso altre prove documentali o argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta dal correntista o dalla banca” (così Cass. Civ., Sez. I, 4/4/2019, n. 9526; conf.: Cass. Civ., Sez. VI, 4/2/2020, n. 2435; nel merito, CA Napoli, Sez. IX, 18/11/2021, n. 4301, nonché Trib. Roma, Sez. XVI, 21/12/2021, n. 19893, resa nei confronti di Intesa Sanpaolo s.p.a.).
Si segnala, in particolare, che la giurisprudenza ha attribuito rilevanza probatoria, ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 c.p.c., al comportamento omissivo della banca, laddove la richiesta stragiudiziale di copia della documentazione contabile ex art. 119, comma 4 TUB ed il successivo ordine di esibizione giudiziale ex art. 210 c.p.c. siano rimasti ingiustificatamente inevasi (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 3/12/2018, n. 31187, cui, peraltro, è da attribuirsi la massima citata dall’ordinanza n. 4718/2022).
Nonostante la portata apparentemente innovativa dell’orientamento appeno passato in rassegna rispetto ai noti principi affermati dalla Suprema Corte sull’onere di allegazione e prova nel contenzioso bancario, pare possibile ritenere che l’integrazione della prova carente mediante CTU alla luce di elementi probatori diversi dagli estratti conto sarà ammessa dai giudici unicamente in presenza di una produzione documentale, da parte del correntista, in minima parte lacunosa (ad esempio qualora manchi un solo estratto conto, come nel caso esaminato da Cass. n. 9526/2019 cit.) e purché la ricostruzione operata dal consulente possa comunque ritenersi attendibile.
E ciò, naturalmente, dovrà essere oggetto di specifica motivazione, anche con riferimento alle contestazioni eventualmente mosse dalla banca alle risultanze della perizia contabile.
Pubblicato il 8 marzo 2022