La Corte di Cassazione, sez. VI civile, con l’ordinanza n. 26249/2019, pubblicata il 16 Ottobre 2019, delimita i confini entro i quali possono essere risarcite le lesioni personali – nel caso di specie trattasi del c.d. “colpo di frusta”, e coglie l’occasione per tornare a ribadire il principio espresso nei precedenti arresti in merito alla corretta interpretazione dell’art. 32, comma 3 ter del D.l. n. 1/2012.
La vicenda trae origine dal ricorso promosso da un soggetto – che aveva riportato lesioni personali a seguito di un sinistro stradale – avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che, confermando quanto già deciso in primo grado dal Giudice di Pace di Afragola, aveva rigettato il gravame ritenendo “impossibile liquidare il danno lamentato dall’attore, poiché le lesioni che questi dichiarava di aver sofferto “non erano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”, ai sensi dell’art. 32, comma 3 quater, del d.l. 21.1.2012 n. 1 (convertito dalla l. 24.3.2012 n. 27)”.
Con il primo motivo di gravame il ricorrente ritiene costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 32 della Cost. e 2043 c.c., le disposizioni di cui ai commi 3 ter e 3 quater dell’art. 32 del D.l. n. 1/2012, in quanto impedirebbero il risarcimento del danno permanente alla salute causato da sinistri stradali, se di lieve entità e non suscettibili di accertamento clinico/strumentale/obiettivo.
Il riportato motivo viene ritenuto inammissibile in quanto, rileva la Corte di Cassazione, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, la sentenza ha rigettato la domanda perchè ha ritenuto insussistente il danno lamentato e non perché lo stesso non è stato strumentalmente accertato.
Infatti, chiarisce la Corte di Cassazione, avendo il Tribunale fatto esplicitamente proprie le conclusioni rassegnate dal C.T..U. – secondo il quale era “impossibile” determinare l’esistenza di danni permanenti – appare ultroneo ed irrilevante il richiamo compiuto nella motivazione della sentenza impugnata all’art. 32, comma 3 quater, del D.l. n. 1/12.
Pertanto, il Supremo Collegio, afferma il principio in forza del quale: “un danno di cui sia impossibile stabilire non già il suo esatto ammontare, ma la sua stessa esistenza, è per ciò solo un danno irrisarcibile. Rectius, non è nemmeno un danno in senso giuridico”.
Il medesimo motivo viene inoltre ritenuto infondato in quanto, secondo la Corte di Cassazione, la disposizione di cui all’art. 32, comma 3 ter, del D.L. n. 1/2012 “si limita a richiamare il rispetto dei propri doveri di zelo solerte da parte di quanti (medici, legali di parte e d’ufficio, avvocati, magistrati) siano chiamati a stimare e liquidare il danno alla salute “ e, di conseguenza, non pone limiti alla risarcibilità del danno alla salute ed alla prova dello stesso.
Infatti, richiamando i propri precedenti arresti (Cass. Civ., sez. III, sent. n. 18773/16; Cass. Civ., sez. III, sent. n. 1272/18; Cass. Civ., sez. III, ord. n. 5820/19), la Corte di Cassazione ribadisce che: “a) l’art. 32 d.l. cit. non è una norma di tipo precettivo, ma una di quelle norme che la dottrina definisce “norme in senso lato (cioè prive di comandi o divieti, ma funzionalmente connesse a comandi o divieti contenuti in altre norme); b) tale norma va intesa nel senso che l’accertamento del danno alla persona non può che avvenire coi criteri medico – legali fissati da una secolare tradizione: e dunque l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali; c) tali criteri sono fingibili ed alternativi tra loro, e non già cumulativi. L’art. 32, commi 3 ter e 3 quater d.l. 1/12, in definitiva, non fa altro che ribadire un principio immanente nell’ordinamento: quello secondo cui l’accertamento dei microdanni alla salute causati da sinistri stradali debba avvenire con l’applicazione rigorosa dei criteri insegnati dalla medicina legale, rifuggendo tanto dalle appercezioni intuitive del medico – legale, quanto dalle mere dichiarazioni soggettive della vittima..”.
La Corte di Cassazione ha inoltre rigettato il secondo motivo di gravame con il quale il ricorrente lamentava il mancato esame di un fatto decisivo – nello specifico rappresentato da una radiografia prodotta nel corso del giudizio, in quanto, secondo il richiamato principio espresso dalle Sezioni Unite, “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto torico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevati /Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830)”, ed in ogni caso; “a) lo stabilire se una persona abbia o meno patito postumi permanenti on è una questione di diritto, ma è l’accertamento di un fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità; b) la motivazione della sentenza impugnata non può dirsi omessa, avendo il tribunale affermato essere “impossibile” accertare l’esistenza di un danno permanente, e costituendo tale affermazione una motivazione chiara ed univoca”.
Pubblicato il 28 ottobre 2019