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NON C’E’ BISOGNO DELLA PROVA DEL RAPPORTO DI PROVVISTA PER L’ASSICURATORE NELLA RIVALSA NEI CONFRONTI DELL’IMPORTATORE DI MERCI. COMMENTO ALL’ORDINANZA DEL 7.11.2018 DELLA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE

Con l’ordinanza del 7 Novembre 2018 la Seconda Sezione civile della Corte d’Appello di Trieste ha accolto ex art. 283 e 351 c.p.c., una istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza n. 393/2018 del Tribunale di Gorizia, in materia di polizze a garanzia dei diritti doganali dovuti dall’importatore in solido con lo spedizioniere nei confronti dell’Agenzia delle Dogane..

1. La fattispecie

L’oggetto del giudizio riguarda l’accertamento del diritto di surroga della Compagnia assicuratrice nei confronti del proprietario importatore delle merci, a seguito di operazioni di importazione svolte in regime di “differito doganale”.

In particolare, secondo la ricostruzione in fatto, la società importatrice corrispondeva l’importo relativo ai diritti doganali allo spedizioniere di cui si era avvalsa per il compimento delle operazioni di sdoganamento della propria merce; i diritti doganali rimanevano tuttavia non corrisposti a causa del comportamento illecito dello spedizioniere, il quale non provvedeva a versarli all’Agenzia delle Dogane.

A seguito dell’escussione da parte dell’Agenzia delle Dogane della polizza fideiussoria rilasciata da parte della Compagnia assicuratrice nell’interesse dello spedizioniere, quest’ultima agiva in surroga e regresso nei confronti dei singoli importatori per il recupero della somma versata.

2. Il quadro normativo e giurisprudenziale.

In tali fattispecie per 25 anni l’orientamento è stato quello scolpito dalle note sentenze n. 499 e 500 del 1993 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno riconosciuto pacificamente l’ammissibilità di tale azione nei confronti del proprietario – importatore delle merci, affermando il seguente principio: “Quando lo spedizioniere doganale, nell’eseguire le operazioni di dogana per conto del proprietario della merce (ancorché in forza di subdelega ricevuta dal mandatario di quest’ultimo) si avvalga della facoltà di differire il pagamento dei tributi doganali, ai sensi degli artt. 78 e 79 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, stipulando all’uopo con società di assicurazioni una polizza fideiussoria sostitutiva della cauzione ed identificante l’obbligazione garantita nel debito inerente a detti tributi, a tale società, che per il suddetto titolo sia stata escussa dall’amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuto il diritto di surrogazione e regresso (artt. 1949-1951 c.c.) nei confronti del proprietario-importatore, il quale nonostante il ricorso all’attività dello spedizioniere (che assume la veste di condebitore in solido), è soggetto passivo del rapporto tributario, e quindi dell’obbligazione garantita, mentre non rileva che i diritti doganali siano rimasti insoddisfatti a causa del comportamento illecito dello spedizioniere, il quale non abbia provveduto a versare alla dogana le somme ricevute dall’importatore, giacché la circostanza interferisce non sul debito d’imposta o sulla fideiussione, ma nel rapporto interno fra spedizioniere e importatore medesimo” (Cass. civ., sez. un., 15.1.1993, n. 500; Cass. civ., sez. un., 15.1.1993, n. 499 – cfr. ex multis: Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 4570/18; Cass. Civ., sez. III, sent. n. 1885/13; Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 845/02; C.A. Milano, Sez. I, ord. del 24.11.11; C.A. Milano, Sez. I, ord. del 25.06.13; Trib. Bologna, Sez. II, sent. n. 1181/15; Trib. Milano, Sez. VI, sent. n. 6081/14).

3. La decisione del Tribunale di Gorizia e la difesa della Compagnia Assicuratrice

Nonostante il consolidato orientamento della Suprema Corte, il Tribunale di Gorizia riteneva di accogliere l’opposizione promossa dal proprietario importatore contro il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Compagnia assicuratrice.

Il Tribunale infatti, sulla scorta del fatto che l’importatore si era avvalso, nell’operazione di sdoganamento, della clausola DDP (Delivery Duty Paid), riteneva infondate le ragioni di credito vantate dalla Compagnia assicuratrice;  in particolare, secondo l’impostazione del giudice goriziano, la sussistenza di tale clausola rendeva necessaria, quale presupposto fondamentale ai fin dell’esercizio del regresso da parte della Compagnia, la prova dell’esistenza del rapporto di provvista tra proprietario importatore delle merci e spedizioniere doganale.

Proponeva quindi appello con istanza di inibitoria ex art. 283 e 351 c.p.c. la Compagnia assicuratrice che, sulla scorta dell’orientamento consolidato della Corte di Cassazione in materia di polizze doganali, chiedeva la riforma della sentenza e la sospensione dell’efficacia esecutiva della stessa.

In particolare la difesa della Compagnia deduceva che : a) il fatto costitutivo del regresso è in realtà soltanto il pagamento avvenuto da parte del fideiussore e scopo pacifico dell’azione è quello di evitare l’ingiustificato arricchimento del solvens che ha adempiuto a titolo di garanzia nell’interesse altrui, attraverso il conseguimento del rimborso della somma pagata.; b) il coinvolgimento dell’importatore non deriva dalla garanzia fideiussoria assunta dall’operatore doganale, ma direttamente dal dato normativo che lo individua come soggetto passivo dell’obbligazione doganale (Trib. Torino, sentenza n. 3371/2018 pubbl. 2.7.2018); c) la qualità di destinatario finale e proprietario delle merci in capo all’importatore soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, che esclude in radice la necessità di dimostrare la sussistenza del rapporto di provvista tra spedizioniere garantito e importatore con la diretta conseguenza di far divenire inutile il riferimento alla clausola DDP.

La Corte d’Appello di Trieste accoglieva quindi l’istanza di inibitoria sulla scorta della validità delle deduzioni, in punto di diritto, della Compagnia Assicuratrice, confermando in sostanza l’orientamento di legittimità della Corte Suprema di Cassazione.

4. L’ulteriore particolarità della decisione della Corte d’Appello sulla richiesta di sospensiva: la sufficienza del solo fumus bonis iuris.

Altra particolarità della decisione in esame è l’adesione all’orientamento secondo il quale può essere concessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza anche in assenza di danno irreparabile c.d. “periculum in mora” (C. App. Bari, 7 luglio 2004 in Foro It, 2005, I, 241).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, invece, i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora devono coesistere e ricorrere cumulativamente e non alternativamente (ex multis C. App. Napoli, 9 Maggio 2018; C. App. Ancona 9 Maggio 2017 e 19 Aprile 2016; C App. Venezia 17 Febbraio 2014).

Nell’ordinanza non viene fatto alcun riferimento al periculum in mora: nella motivazione, infatti, la Corte triestina si limita a riferire: “… ritenuta da una delibazione sommaria delle questioni sollevate dalla parte appellante, la sussistenza sotto il profilo del fumus, dei presupposti di legge per accogliere l’istanza di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata…”.

Tale motivazione fa dunque ritenere che la sola delibazione sommaria degli elementi giuridici dedotti dalla parte appellante possa essere talvolta sufficiente per concedere l’inibitoria della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata.

Pubblicato il 21.11.2018